Uno scudo per le vittime della barbarie

di OSVALDO MIGOTTO - Oggi come in passato sono numerosissime le persone nel mondo vittime di soprusi e brutalità di ogni genere. Spiccano in particolare, e fanno rabbrividire, le violenze di massa contro persone indifese abbandonate al loro destino. Gli esempi purtroppo non mancano e spesso la comunità internazionale non offre la dovuta attenzione alle vittime di massacri pianificati. Per questo è particolarmente significativo il fatto che quest'anno il Nobel per la pace sia stato attribuito a due attivisti, la giovane yazida Nadia Murad e il medico congolese Denis Mukwege, che hanno conosciuto in prima persona le spaventose conseguenze dell'uso indiscriminato della violenza contro gruppi di persone indifesi. In particolare i due vincitori del prestigioso premio hanno preso a cuore le vittime di stupri di massa. Violenze sessuali, usate come brutale arma di guerra, che Nadia Murad ha subito di persona nel 2014 quando i jihadisti dello Stato islamico hanno attaccato il villaggio di Kocho, nell'Iraq settentrionale, uccidendo tutti gli uomini e portando via donne e bambini. Per mesi Nadia ha sofferto violenze di ogni genere, compreso lo stupro di gruppo. Uomini malvagi, i suoi aguzzini, che con uno squallido pretesto religioso hanno insulsamente cercato di giustificare il loro folle sogno di conquista. Così facendo hanno ucciso o umiliato migliaia di persone. Tra di loro vi era anche Nadia Murad, che alla fine è riuscita miracolosamente a fuggire dalla casa di Mosul dove era tenuta prigioniera. Perché il Nobel per la pace a Nadia? Perché la giovane donna nonostante le inenarrabili violenze subite non ha permesso a un branco di jihadisti fanatici in preda alla droga di cancellare la sua personalità e la sua dignità. La giovane vincitrice del Nobel per la pace non si è chiusa nel silenzio, ha invece reagito denunciando al mondo intero gli orrori commessi dall'ISIS contro di lei e contro l'intera comunità yazida. Ora Nadia non vuole vendetta, chiede però alla comunità internazionale che giustizia venga fatta. Non sarà facile, ma per ora ha già ottenuto più di un risultato. Da un lato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha già istituito un team investigativo che dovrà raccogliere le prove dei crimini commessi dai miliziani dello Stato islamico, dall'altro il premio attribuito ieri a Nadia ha fatto da importante cassa di risonanza alla campagna contro gli stupri di massa condotta dai due vincitori del Nobel per la pace. La nota triste che purtroppo va sottolineata è che il secondo vincitore del Nobel per la pace 2018, il ginecologo congolese Denis Mukwege, già nel 2012 aveva tenuto un discorso alle Nazioni Unite su tale tipo di violenze. In particolare Mukwege aveva denunciato l'impunità per le violenze sessuali di massa compiute nel suo Paese e in altri Stati africani. Inaccettabili violenze collettive che purtroppo non si può dire siano nel frattempo scomparse dalla faccia della terra. Guerre e dittature continuano a mietere vittime innocenti in vari Paesi del mondo e la comunità internazionale scopre spesso la sua impotenza di fronte a spaventose violazioni dei più elementari diritti umani. Si pensi ad esempio alla Siria, dove ci si sta ormai abituando all'idea che il dittatore Assad resterà ancora a lungo al potere visto che per cacciarlo l'Occidente avrebbe dovuto sfidare militarmente Russia e Iran, i Paesi che appoggiano con maggior decisione quel regime. Ad ogni modo nonostante le tristi conseguenze della Realpolitik, va detto che in un tale contesto generale l'impegno di Nadia Murad e Denis Mukwege appare ancor più meritevole di lode. Due persone sole, nonostante le tante difficoltà ora ricordate, proseguono con decisione la loro battaglia morale contro gli stupri di massa usati come arma di guerra. Gli importanti riconoscimenti internazionali che i due coraggiosi attivisti hanno finora conseguito (ad entrambi il Parlamento europeo negli scorsi anni aveva già assegnato il Premio Sakharov) rafforzano il loro peso morale. Mentre sono migliaia le persone vittime di abusi che vedono in queste due figure un aiuto concreto. In particolare le vittime di violenze sessuali che ricorrono alle cure del dottor Denis Mukwege nell'ospedale Panzi di Bukavu, nell'est della Repubblica Democratica del Congo. La battaglia in difesa degli oppressi condotta da Nadia Murad e di Denis Mukwege non potrà fare miracoli, ma si può dire che perlomeno è in grado di offrire a molte persone una sorta di scudo morale dietro al quale ci si potrà sentire sostenuti nella difficile sfida di portare davanti ai giudici gli autori di violenze inaudite. Violenze che spesso si perpetuano nel tempo proprio a causa dell'impunità di cui riescono a godere i responsabili.