USA: stop all’uso sproporzionato della violenza

Negli Stati Uniti le tensioni razziali scoppiate dopo la barbara uccisione di George Floyd da parte di un poliziotto bianco a Minneapolis non accennano a diminuire, anche a causa di nuovi episodi di uso sproporzionato della violenza da parte delle forze dell’ordine. I danni derivanti da questo clima sociale infuocato rischiano di essere molto più gravi del previsto. Tanto per cominciare le continue manifestazioni che si tengono in diverse parti del Paese contro la violenza della polizia nei confronti degli afroamericani stanno incidendo sul numero di nuovi contagi da coronavirus. Ma c’è di peggio; nelle ultime settimane alcuni agenti di sicurezza e poliziotti sono stati presi di mira da manifestanti facinorosi per il semplice fatto di rappresentare una categoria professionale al momento poco amata.
Sfortunatamente non si può dire che tra i poliziotti americani vi siano solo poche mele marce all’origine di quell’uso eccessivo della forza che lo scorso 25 maggio ha portato all’uccisione per soffocamento di George Floyd a Minneapolis e venerdì notte alla morte di Rayshards Brooks, colpito alle spalle da due proiettili, ad Atlanta.
I numeri parlano chiaro: negli USA le forze di sicurezza uccidono un afroamericano ogni 28 ore. Chiaramente si tratta di una media e di sicuro non tutte le persone finite all’obitorio sotto gli spari degli agenti erano degli stinchi di santo. Sta di fatto che le immagini di «uccisioni evitabili» che da tempo girano sul web e nei telegiornali di mezzo mondo non rendono grande onore alle forze dell’ordine americane. In una tale situazione che rischia di sfuggire di mano non si capisce perché le istituzioni competenti non siano ancora intervenute per arginare gli abusi. Il partito democratico ha proposto una riforma della polizia, vedremo se la buona intenzione almeno questa volta andrà in porto.
Gestire la sicurezza in una società decisamente più violenta della nostra non è un compito facile, ma i recenti episodi di interventi della polizia finiti nel sangue mostrano una reazione sproporzionata degli agenti di fronte a un presunto pericolo. Il poliziotto che ha ucciso George Floyd con una presa mortale al collo voleva arrestarlo per il presunto uso di un biglietto falso da 20 dollari. Vale così poco negli USA la vita di un afroamericano?
Nel caso di Atlanta, invece, Rayshards Brooks ha reagito a un tentativo di arresto sottraendo a un agente un taser (arma non letale che invia scosse elettriche) che stava per essere usato contro di lui. Nella fuga l’afroamericano ha puntato l’arma contro l’agente che lo inseguiva, poi ha proseguito la fuga. È stato fermato con due proiettili alla schiena che lo hanno ucciso. La sua colpa? Aver alzato il gomito ed essersi addormentato nella sua auto nel piazzale di un ristorante. La cosa incredibile è che il poliziotto che l’ha ucciso, prima di cercare di ammanettarlo aveva mostrato una grande professionalità nel dialogo con una persona ubriaca.
Dapprima tanta pacatezza per evitare che il colloquio degenerasse in violenza. Poi l’uso disinvolto della pistola contro una persona alticcia che sicuramente non sarebbe andata lontana se l’inseguimento fosse proseguito. Contro il fuggitivo non un colpo, ma tre proiettili. Nel mirino non le gambe ma la schiena di Brooks, anche se il piazzale teatro dell’inseguimento era ben illuminato. Sarà la giustizia USA a stabilire le responsabilità. Intanto in tutto il Paese continuano le proteste. Le ultime imponenti manifestazioni si sono avute a San Francisco, dove il Bay Bridge è stato bloccato da migliaia di persone, e a Washington, dove altre migliaia di persone si sono riunite ancora una volta davanti alla Casa Bianca. La richiesta della piazza è chiara: stop al razzismo e all’uso esagerato delle armi.