L'editoriale

Valore locativo, adesso o mai più

L'editoriale di Giovanni Galli sulla riforma dell’imposizione della proprietà abitativa su cui si voterà il 28 settembre
© CdT/Gabriele Putzu
Giovanni Galli
18.09.2025 06:00

l valore locativo ha resistito a tutti i tentativi di abbattimento. Due differenti proposte di abolirlo sono cadute alle urne, nel 2004 e nel 2012, perché erano considerate sbilanciate a favore dei proprietari. Discutibile nel principio, difficilmente comprensibile e preso di mira per certi suoi effetti perversi, questo strumento fiscale è stato più volte messo in discussione. Ma le battaglie politiche hanno dimostrato che quando si toccano regole sperimentate e formule consolidate, basate su pesi e contrappesi, si innescano anche resistenze che fanno apparire lo statu quo come il minore dei mali. Ora, però, le premesse per un cambiamento di sistema sembrano più favorevoli. La riforma dell’imposizione della proprietà abitativa su cui si voterà il 28 settembre è equilibrata. Dopo un estenuante tira e molla, per venirne a una il Parlamento ha deciso un cambio completo del sistema, impensabile fino a pochi anni fa. Insieme al valore locativo saranno eliminate le deduzioni sia degli interessi ipotecari (tranne per i neoproprietari), sia delle spese di manutenzione. Queste regole varranno anche per le residenze secondarie, evitando così di far convivere fianco a fianco due sistemi, con relative complicazioni amministrative. Del resto, una distinzione tra l’abitazione occupata dal proprietario a domicilio e la casa di vacanza a uso proprio sarebbe anche in contrasto col principio di equità. Il valore locativo è considerato un reddito in natura che corrisponde alla pigione che il proprietario avrebbe potuto ottenere se avesse deciso di locare il suo immobile. Abitandoci, il proprietario risparmia una spesa che gli inquilini, invece, devono sostenere, senza poterla dedurre dal reddito. Il ragionamento ha una sua logica e risponde al dettato dell’imposizione secondo la capacità economica, ma è anche astruso. Sarebbe come tassare chi coltiva insalata e zucchine nel proprio orto, perché invece di mangiarle le potrebbe vendere conseguendo un reddito; così facendo verrebbe garantita l’equità di trattamento con chi l’orto non l’ha ed è costretto a comprare le verdure al supermercato. In un’intervista rilasciata negli scorsi giorni a Le Temps, la «ministra» delle Finanze Karin Keller-Sutter ha ricordato che il valore locativo era stato introdotto un centinaio di anni fa per fare cassa e non per ragioni di equità fiscale. «Dura lex sed lex» viene quindi da dire, ma è comprensibile il senso di ingiustizia provato dai proprietari, tassati per un reddito che in realtà non hanno mai conseguito. Il compromesso trovato per superare questa situazione non è ineccepibile ma ha una sua coerenza. Con l’eliminazione del valore locativo verrebbero anche limitati alcuni effetti perversi del sistema.  Come l’incentivo all’indebitamento (c’è anche chi accende mutui per investire in titoli) e a sfruttare il margine di manovra fiscale. O come la penalizzazione di quei proprietari di lungo corso, in particolare i pensionati, che dopo aver ammortizzato tutto o in buona parte il debito ipotecario sono costretti a dichiarare un reddito senza avere interessi passivi da dedurre. Senza dimenticare che fra questi c’è anche chi, avendo entrate ridotte, a causa di questo reddito teorico non ha accesso a prestazioni sociali come i sussidi di cassa malati o le complementari AVS. La riforma, inoltre, semplificherebbe tutto il sistema, che oggi funziona come una complicata (anche se ben oliata) macchina di Tinguely. Se per assurdo la Confederazione dovesse costruire da zero la sua fiscalità, siamo sicuri che ricreerebbe un simile sistema di imposizione della casa? Molto probabilmente no. Questo, ben inteso, non significa che la riforma non abbia un rovescio della medaglia. Il valore locativo ha messo radici e si è dimostrato sin qui una fortezza inespugnabile. Una sua abolizione romperebbe equilibri acquisiti e meccanismi collaudati. In conto vanno messe anche certe controindicazioni, come l’impatto negativo sui gettiti fiscali e il rischio che la mancata deduzione delle spese di manutenzione penalizzi la transizione ecologica degli immobili e favorisca il lavoro nero. L’alleanza fra sinistra, Cantoni e ambienti della costruzione da un lato, le divisioni interne nei partiti «borghesi» (soprattutto a livello regionale) dall’altro, dimostrano quanto siano diffuse le resistenze al cambiamento. I sondaggi pubblicati ieri sono eloquenti. Partita bene, la riforma conserva solo un lieve vantaggio e la partita resta più che mai aperta. Tutto si gioca nei prossimi dieci giorni. Ci sono solo due certezze. Che le chance di abolire il valore locativo non sono mai sembrate così buone. E che, proprio per questo,  un eventuale no alle urne lo renderebbe immortale.