L'editoriale

Arrocchi, capriole e poca serietà

Che cosa sta dietro allo scambio di Dipartimento tra Norman Gobbi e Claudio Zali
Gianni Righinetti
02.06.2025 06:00

La vita è tutta un quiz e la politica è solo un gioco per prendersi gioco di tutti. Le regole della Lega non cambiano. D’altronde «chissenefrega» del fatto che nel 2011 i cittadini hanno dato al partitocratico movimento la maggioranza relativa in Governo, e cosa importa che due anni fa i rieletti Norman Gobbi e Claudio Zali abbiano sottoscritto l’impegno per restare alla guida del Dipartimento delle istituzioni e di quello del Territorio. La decisione di scambiarsi i dipartimenti, come ragazzini d’altri tempi con le figurine dell’album dei mondiali, risponde solo ed esclusivamente ad interessi di bottega (quella leghista, dalle quotazioni in discesa da tempo) e personali (quelli di due consiglieri di Stato in manifesta difficoltà). Non rispondono neppure lontanamente agli interessi del Ticino e del cittadino elettore, colui al quale con un atteggiamento intriso d’ipocrisia, si appellano molti politici, leghisti compresi. La comunicazione condita dall’irriverente, scanzonato e pure sguaiato tono del domenicale della Lega manda in tilt ogni genere di progettualità per il biennio di quella che promette di passare alla storia come la legislatura circense. E non si venga a raccontare la solita favoletta che «il Mattino e la Lega sono due cose distinte». Sono due, appunto, due facce della stessa medaglia. Inoltre questa idea della coppia leghista che si scopre stranamente affiatata nel momento della difficoltà reciproca, risponde unicamente al criterio della convenienza, personale e partitica. Il foglio leghista dipinge Gobbi-Zali come «pienamente motivati e pronti a raccogliere nuove sfide». Lo stile è inconfondibile, paludato, tipico della partitocrazia che parla a vanvera facendo sfoggio di un lessico che vuole rassicurare ma che appare letteralmente vacuo. Risibile risulta poi quando la penna di Lorenzo Quadri, oltre a riportare in auge il Mago Otelma svela che «entrambi i ministri leghisti sono pronti ad uscire dalla rispettiva “confort zone”». Andiamo oltre al circo, questo è autentico cabaret. L’impressione è che Gobbi e Zali, in preda a un delirio di onnipotenza, si illudano di fare fessi tutti i ticinesi. Chi viaggia con il vento in poppa in politica non si lancerebbe mai in questo genere di operazione di retroguardia, guarderebbe al prossimo appuntamento per migliorare la propria posizione, puntando magari per un altro genere di seggio, meno rognoso di quello di consigliere di Stato, ma più prestigioso. Anche sforzandoci nel credere alle belle parole del domenicale, non possiamo esimerci dall’osservare che la prioritaria asserita volontà di rilanciare, perché Zali se ne intende di Giustizia e Gobbi è vicino al territorio sono solo fumogeni per distrarre l’attenzione da una serie di altri argomenti scientemente sottaciuti. Dire Territorio significa tornare a trent’anni fa, con il grande rifiuto del compianto Alex Pedrazzini di riprendere in mano il Dipartimento di marca PPD, finito poi alla Lega. E la Lega che oggi, viste dinamiche e scenari in atto per il 2027, vuole blindare il Dipartimento con il leghista potenzialmente più performante dal profilo elettorale (Gobbi). Zali una settimana fa è stato protagonista di un’invasione di campo nel terreno della Giustizia con un articolo al vetriolo (sempre dalle colonne del Mattino). Gobbi negli ultimi anni ha collezionato una serie di flop politici: Giustizia 2018, Ticino 2020, Cittadella della Giustizia, poi gli viene rimproverato di avere gonfiato a dismisura la Polizia. Inoltre, da non dimenticare, il processo che arriverà nei confronti degli agenti intervenuti in quella sfortunata sera in Leventina con «un bicchiere di troppo» (Gobbi dixit). Affrontare quel momento da direttore del Dipartimento delle istituzioni è più pesante che farlo da conduttore del Territorio. Ci sono poi questioni d’ordine politico elettorale per Zali. E questa situazione è anomala: colui che è stato cooptato in Governo dalla Lega (non era tra i subentranti) e che ha sempre rivendicato il suo essere poco incline alla politica e libero di agire, si presta a una mossa squisitamente politica e di cadreghe. Se anche o meno per la sua lo determinerà la guerra dei nervi tra lui e il presidente dell’UDC Piero Marchesi.

Ad avallare o censurare questo genere di arrocco, con tante capriole e poca serietà, è chiamato il collegio governativo. I tre colleghi informati «dell’idea» dalla voce di Gobbi in chiusura di una seduta del Consiglio di Stato. Immaginate la scena: un po’ come alle «eventuali» in chiusura di un’assemblea, mentre scorrono i titoli di coda, nel momento in cui tutti pensano all’aperitivo, se ne esce Gobbi con un «colleghi, a proposito, Claudio e il sottoscritto…». Poi la sparata del Mattino e, ovviamente, nella giornata di ieri le bocche cucite in casa Lega. Le bocche dei pochi che sapevano. Certe cose, anche nella Lega, se delicate, si fanno rigorosamente nelle segrete stanze.