L'editoriale

Caso CS-UBS, una sentenza che riscrive la storia

La sentenza della prima istanza giudiziaria amministrativa svizzera, ancora impugnabile presso il Tribunale di Losanna e riferita soltanto a uno dei 360 incarti aperti presso il Tribunale, ora rimette in discussione quella decisione maturata in un clima a dir poco concitato
Generoso Chiaradonna
15.10.2025 06:00

«Ci sarà pure un giudice a Berlino» oppure «esiste dunque un giudice a Berlino» è una frase che è stata mutuata da un’opera del drammaturgo tedesco Bertolt Brecht nella quale si narra la storia di un mugnaio che lotta tenacemente contro l’imperatore per vedere riparato un abuso.

Nel caso dei titoli AT1 emessi da Credit Suisse per rafforzare i mezzi propri e annullati per decisione della Finma il 19 marzo del 2023 - quando fu annunciato il salvataggio orchestrato dal Consiglio federale attraverso UBS - forse non c’è un imperatore a cui tutto è dovuto, ma almeno tremila investitori che fin dal primo giorno hanno lottato contro una decisione ritenuta illegale sì. Ora, anche loro, come il mugnaio di Potsdam, hanno trovato un «giudice a Berlino» che ha rimesso in discussione la decisione di quasi tre anni fa.

Ripercorriamo brevemente la storia. Il 19 marzo 2023 alcuni rappresentanti del Dipartimento federale delle finanze (DFF), dell’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (Finma), della Banca nazionale svizzera (BNS) e delle due banche coinvolte hanno annunciato un ampio pacchetto di misure in vista dell’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS, tra cui l’azzeramento di tutti gli strumenti di capitale denominati «Additional Tier 1» (meglio noti come AT1) per un valore nominale di circa 16,5 miliardi di franchi. Lo stesso giorno, il Consiglio federale ha completato l’ordinanza di necessità emanata poco prima con una disposizione (art. 5a) che autorizzava la Finma a ordinare l’azzeramento del capitale AT1 alla banca in questione. Basandosi fra l’altro su questa disposizione, la stessa Finma, con decisione dello stesso giorno, ha intimato a Credit Suisse di procedere immediatamente all’azzeramento di tutte le obbligazioni AT1 e di darne comunicazione ai creditori interessati, ciò che la banca ha in seguito fatto.

La sentenza della prima istanza giudiziaria amministrativa svizzera, ancora impugnabile presso il Tribunale di Losanna e riferita soltanto a uno dei 360 incarti aperti presso il Tribunale, ora rimette in discussione quella decisione maturata in un clima a dir poco concitato. Ricordiamo che il giovedì precedente l’annuncio del “salvataggio”, BNS, Finma e DFF - nel tentativo di calmare una corsa agli sportelli che era diventata drammatica per Credit Suisse - avevano diffuso un comunicato in cui si affermava che la banca era ben capitalizzata e soprattutto liquida. Una rassicurazione sparita pochi giorni dopo con l’annuncio del salvataggio esterno via UBS e l’azzeramento dei titoli AT1. Salvataggio che non aveva rispettato, secondo alcune analisi, la classica gerarchia di rischio in caso di ristrutturazione degli impegni, in cui gli azionisti sono coinvolti per primi, seguiti dagli obbligazionisti (in base al tipo di obbligazione), e infine dai depositanti con liquidità sui conti superiori a 100.000 franchi. Gli azionisti di Credit Suisse che hanno perso gran parte del loro investimento, hanno però recuperato almeno 76 centesimi per azione e sono diventati azionisti di UBS con la possibilità di ridurre ulteriormente le perdite. I titolari di AT1 sono i perdenti dell’operazione. E tra questi ci sono anche normali risparmiatori come pure caute casse pensioni.

Ora, però, arriva il TAF a dire che si poteva procedere con una risoluzione ordinata di Credit Suisse e che non c’è stato alcun viability event (evento scatenante) che giustificasse l’azzeramento di quegli strumenti di capitale. Anzi, il Tribunale amministrativo ha riscontrato anche violazioni della Carta costituzionale, in particolare sul diritto del Consiglio federale di emanare ordinanze di necessità, sulle esigenze in materia di trasmissione di un diritto di espropriazione e sulla garanzia della proprietà. Gli investitori hanno trovato un giudice. A San Gallo.

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