Collegialità, libertà e un velo d'ipocrisia

Tra quanto si pensa e quanto si dice (e viceversa) talvolta c’è un abisso. A mettere a dura prova i politici di milizia e quelli di professione, che nel loro percorso hanno conosciuto l’esperienza di dividersi tra lavoro e politica, sono spesso le iniziative popolari, ma anche il credo politico veicolato nel corso delle campagne elettorali. Smentirsi dopo aver preso un impegno non è mai bella cosa, ma capita. Eccome se capita: a Berna e in Ticino.
Protagonista di uno dei più clamorosi ribaltoni di pensiero degli ultimi anni nella capitale federale è Albert Rösti, oggi consigliere federale, ma già presidente dell’UDC fino al 2019. Un esponente e trascinatore della linea del partito, ma soprattutto capofila nel lanciare l’iniziativa popolare «200 franchi bastano». A tutti noi oggi succede di non sapere cosa faremo e dove saremo domani. Così è capitato che l’UDC di ferro si è trovato catapultato in Consiglio federale e gli è toccato l’elefantiaco Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (DATEC) trovandosi sul tavolo il testo da lui firmato e «costretto» a rimangiarsi la sua opinione, sposando invece quella del collegio governativo. Dura lex, sed lex avrebbero sentenziato in passato. Ma quanto è credibile Rösti nel difendere l’esatto contrario di ciò a cui mirava solo pochi anni fa con la sua firma? È arrivato finanche a considerarla «radicale» e non consigliabile. Non aveva scelta? Era costretto per motivi di collegialità? Forse, ma questo è davvero assurdo. E, soprattutto, non è credibile.
E veniamo in Ticino dove le due iniziative sulle casse malati, quella leghista e quella socialista, ci pongono di fronte a situazioni che meritano di essere messe in risalto. In casa Lega Norman Gobbi (ultraleghista doc, già coordinatore ad interim e consigliere di Stato dal 2011), la scorsa settimana ha picconato entrambe le proposte senza alcuna distinzione e con una motivazione standard: «Non sono gratis». Da presidente del Governo non poteva fare altro? Forse, ma se il 28 settembre l’idea leghista verrà promossa non crediamo che farà il broncio. A muoversi diversamente è stata la consigliera di Stato socialista Marina Carobbio che, anche libera dal corsetto rigido che indossano a rotazione i presidenti del Governo, ha dichiarato: «Sono stata proponente. Il mio pensiero personale è dunque chiaro». Evviva la sincerità, vien da dire. Carobbio, agendo così, è stata sincera e trasparente. Liberamente ha detto la sua e lo ha fatto con estrema correttezza, virtù che (invero) ha sempre contraddistinto la sua azione politica. Certamente possiamo chiederci come si sarebbe comportata se avesse diretto il Dipartimento della sanità e della socialità, se avesse avuto in mano le finanze o se le fosse toccato l’anno di presidenza. Appunto «se». Ma intanto evviva la sincerità politica e di pensiero.
Come d’altronde un plauso va ai due sindaci Michele Foletti (Lega) e Mario Branda (PS) che, per difendere l’autonomia comunale (concetto che è più una barzelletta che una realtà) si sono schierati dalla parte dell’Istituzione e non da quella del partito. Certamente hanno fatto arrabbiare chi tira i fili in via Monte Boglia e qualche «compagno», ma hanno liberamente seguito il loro istinto. E va bene così. Possiamo dire che nella materia della cosiddetta «collegialità» la regola è che non c’è regola. D’altronde i casi enunciati dimostrano come l’interpretazione rigida del metodo collegiale d’altri tempi non regge più, noi preferiamo l’interpretazione intelligente da parte delle persone piuttosto che l’ideologico rispetto di regole che non reggono alla prova dei fatti. La collegialità, interpretata come impedimento o museruola, finisce per appiattire e annullare. Viviamo in un’era in cui vediamo due opposti schizofrenici: Esecutivi nei quali vige la consegna del silenzio verso l’esterno e Legislativi nei quali si sparano petardi e fuochi d’artificio tutti i giorni. Poi c’è un Esecutivo, quello di Lugano, dove l’esponente della sinistra Raoul Ghisletta non ha ancora ben capito cosa ci sta a fare e, mentre cerca una sua rotta, spara un giorno sì e l’altro pure sui colleghi e sul Municipio. In questo caso un richiamo alla collegialità ci sta tutto, ma non perché Ghisletta esprime la sua opinione (legittima al 100%), bensì perché si erge a paladino dei cittadini sminuendo e sbeffeggiando i colleghi. Metodo che, invero, ha forse appreso leggendo negli anni il foglio leghista della domenica.
In attesa che a Lugano si trovi la strada e (forse) un modus vivendi, respingiamo l’ipocrisia di chi mostra una falsa collegialità di facciata, difendiamo la libertà d’espressione per tutti i politici coraggiosi che con il loro pensiero e le loro idee aiuteranno l’autoreferenziale e malandato Ticino a fare, per davvero, passi avanti. Poi, lo sappiamo, nel compilare segretamente la scheda, molti politici esprimeranno un voto opposto a quello veicolato pubblicamente in queste settimane di campagna.