L'editoriale

Da Javier Milei proposte estreme già fallite

L’eccentrico presidente argentino è l’ultimo arrivato sulla scena politica sudamericana
Generoso Chiaradonna
25.11.2023 06:00

L’eccentrico presidente argentino Javier Milei è l’ultimo arrivato sulla scena politica sudamericana. Dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi il neoeletto capo di stato non è il primo che propugna esperimenti politici ed economici a dir poco arditi. Si ricordano le dure dittature militari che hanno caratterizzato, dagli anni ‘60 ai primissimi anni ‘80, i governi di Argentina, Cile, Brasile e Uruguay e le guide democratiche che si sono succedute negli anni più recenti, di opposto colore politico ma accomunati dal medesimo elevato tasso di populismo come il Brasile di Bolsonaro e ora di Lula.

Il laboratorio sudamericano, in questo senso, è sempre stato aperto. Basta pensare alla riforma del sistema pensionistico cileno ideata e attuata durante la dittatura di Augusto Pinochet. Riforma nota con il nome del suo ideatore, il ministro José Piñera esponente liberista di quel governo dittatoriale che spense le libertà civili ma preservò quella imprenditoriale in un corto circuito ideologico apparentemente contraddittorio ma che ritroviamo ancora oggi in Cina, per esempio. Ad ogni modo la riforma Piñera, con alcuni tentativi vani di modifica, è ancora in vigore e imitata anche all’estero. Il Cile nel 1981, infatti, è stato il primo Paese ad aver affidato completamente al mercato finanziario il suo sistema previdenziale anticipando di alcuni decenni il discorso attorno ai regimi pensionistici cosiddetti a ripartizione e quelli a capitalizzazione, noti in Svizzera – per quanto riguarda il secondo pilastro - con il concetto di primato delle prestazioni e primato dei contributi. Se ne parla anche in Ticino a proposito delle pensioni dei dipendenti pubblici, per dire.

L’arrivo dell’anarco-capitalista - così si definisce Milei - alla Casa Rosada apre le porte a ulteriori e rischiosi esperimenti sociali ed economici in una nazione che sta conoscendo una crisi senza fine tra iperinflazione ormai al 140%, stimata al 180% a fine anno e povertà crescente che colpisce oltre il 40% della popolazione. La ricetta proposta da Javier Milei suona semplice alle orecchie di coloro che per decenni hanno creduto nelle promesse di altri incantatori o dinastie presidenziali. Come definire altrimenti i coniugi Kirchner – il defunto Néstor e Cristina, attuale vicepresidente – che hanno retto per anni un paese volubile economicamente e strozzato dai debiti del Fondo monetario internazionale?

Al netto degli eccessi di ostentata eccentricità - la motosega contro la spesa pubblica, i consigli via medium di uno dei suoi cani morti - Milei è perfettamente in linea con la più pura ortodossia neoliberale: meno Stato e più mercato dove quest’ultimo dovrebbe essere lasciato libero di regolare ogni aspetto dell’agire umano. Per comprendere appieno quale sia la linea del nuovo presidente argentino la proposta più esemplificativa è quella che riguarda la volontà di rendere possibile la vendita di organi umani. «Perché il corpo è nostro e dobbiamo poterne disporre a piacimento. E perché c’è chi potrebbe averne bisogno», ha affermato in varie occasioni. In un’unica frase si ritrova la summa del suo pensiero: fede cieca nel mercato, mercificazione del corpo e demagogica volontà di offrire facili scorciatoie a chi spera di affrancarsi dalla disperazione.

Ma in un Paese dove i commercianti sono costretti ad aprire i negozi più tardi perché presi dall’incombenza quasi quotidiana di modificare i prezzi che nel frattempo sono cresciuti e chi invece un reddito da lavoro ce l’ha, ma non vede l’ora di liberarsi dei pesos ricevuti per cambiarli in dollari o altri beni che resistono all’inflazione, l’idea “mileiana” di abolire la banca centrale e passare direttamente al dollaro statunitense come moneta corrente può suonare allettante a un popolo che ha visto tutto. L’estrema debolezza della valuta argentina è proprio il fattore principale che alimenta uno dei problemi che ogni governo ha tentato di risolvere: la dollarizzazione strisciante dell’economia con restrizioni ai tassi di cambio. Cosa che ha costruito un fiorente mercato nero dove il dollaro è quotato anche al doppio del tasso ufficiale. Durante la parentesi della presidenza di Maurizio Macri nel 2018 – tra le due ultime presidenze peroniste - si è tentato di liberalizzare il mercato dei cambi con il risultato di una colossale fuga di capitali che costrinse a chiedere un prestito miliardario (in dollari, ovviamente) al Fondo monetario internazionale. Prima ancora, negli anni ‘90, con Carlos Menem gli argentini sperimentarono già il tasso di cambio uno a uno tra peso e dollaro con l’obiettivo di combattere l’inflazione. Finì all’inizi degli anni 2000 con una drammatica crisi sociale ed economica. Ora tocca a Milei sperimentare in attesa di un altro demiurgo.