L'editoriale

E a Lugano vissero quasi tutti felici e contenti

Le premesse affinché Michele Foletti venisse eletto sindaco di Lugano - o che mantenesse il suo incarico, a seconda dei punti di vista - c’erano tutte ed erano di ordine amministrativo, politico e anche, non sottovalutiamolo, emotivo
Paride Pelli
15.04.2024 06:00

Le premesse affinché Michele Foletti venisse eletto sindaco di Lugano - o che mantenesse il suo incarico, a seconda dei punti di vista - c’erano tutte ed erano di ordine amministrativo, politico e anche, non sottovalutiamolo, emotivo. In primis, il leghista è stato innegabilmente un buon capo dell’Esecutivo, proponendo quella che potremmo chiamare una visione complessiva della capitale economica del Ticino, da lui intesa come volano di competitività e di crescita per l’intero cantone. Il Dicastero delle finanze, sotto la sua guida, è stato amministrato con giudizio e competenza, sebbene le previsioni non siano del tutto rosee. Insomma, Lugano «ha tenuto» in anni non facili. Su queste evidenze si è probabilmente basata la previsione di Fulvio Pelli, intervistato ieri su la Domenica: se non ci sono motivi importanti per cambiare sindaco, non lo si cambia. E così è stato. I cittadini non hanno ritenuto opportuna una sterzata verso Marco Chiesa, che correva per l’UDC nella stessa lista di Foletti e che a questo giro elettorale era il suo sfidante indiscusso. Ed eccoci ai motivi di ordine politico. A bocce ferme, si può dire che è stato evitato un pasticcio che avrebbe sciupato l’immagine di Lugano. In caso di vittoria, Chiesa avrebbe dovuto sciogliere in tempi brevi il nodo del proprio impegno verso la città. Vista la sua dichiarata volontà di non rinunciare al Consiglio degli Stati, dove a novembre scorso è stato confermato dai ticinesi a suon di voti, ci sarebbero state incognite politiche non da poco. Lugano è infatti una città molto richiedente, dove il sindaco, tradizionalmente, lavora a tempo pieno. Un sindaco a percentuale ridotta avrebbe configurato una sorta di anomalia agli occhi dei cittadini. L’ipotesi, ventilata da alcuni, che l’eletto Chiesa cedesse poi l’incarico a Foletti, sarebbe stata un’ulteriore anomalia, quasi un gioco delle tre carte, indegno nei confronti soprattutto degli elettori. I quali hanno votato anche sull’onda di una continuità emotiva con il compianto Marco Borradori, ricordato dal suo subentrante Foletti anche ieri, non senza commozione, prima che si conoscesse l’esito delle urne. Possiamo dire che il ricordo di Borradori, in questa campagna elettorale, è stato tangibile e ha forse compattato il voto leghista ben più di quanto abbia fatto il discusso caso Gobbi. Si è dunque materializzato lo scenario a cui ambiva il centrodestra, che ha comunque rastrellato, tra Foletti e Chiesa, un ragguardevole numero di voti (la sfida luganese tra i due è stata tra i pochi temi appassionanti di una campagna elettorale che definire piatta è quasi eufemistico). Alla fine, Chiesa potrà svolgere il suo lavoro al Consiglio degli Stati e, se lo vorrà, studiare da sindaco nel prossimo quadriennio, in attesa di cosa faranno gli altri partiti, che hanno giocato tutti sulla difensiva, pensando innanzitutto a non prenderle. Foletti, dal canto suo porterà avanti la sua visione di Lugano e la Lega non subirà quello scompaginamento a tutti i livelli che una vittoria democentrista avrebbe giocoforza provocato. I due candidati, senza volerlo, sembrano insomma aver lavorato in tandem. Significativa la serenità di Foletti, ieri pomeriggio: «Questa notte ho dormito benissimo» ha dichiarato poco prima di festeggiare, con sobrietà, la vittoria. Numeri alla mano, Chiesa lo ha comunque tallonato fino all’ultimo, in una lotta che, seppur smentita da entrambi, è stata più all’ultimo sangue di quanto si pensi (ma intanto Chiesa ha già fatto sapere di rinunciare alla votazione per il sindaco). Meno contento, ça va sans dire, l’escluso Tiziano Galeazzi - che come Don Chischiotte ha combattuto contro i mulini a vento, salvo arrendersi davanti all’evidenza - mentre la forza del movimento di Amalia Mirante, che sognava l’entrata nell’Esecutivo, si misurerà meglio oggi con i risultati del voto per il Legislativo. Alla fine, dunque, dalle urne è uscita la conferma di uno status quo che, sotto sotto, non dà troppi dispiaceri a nessuno, dai liberali ai socialisti, passando per il Centro. Il classico lieto fine, per tutti o quasi.

In questo articolo: