L'editoriale

Esercenti tra falle e regali avvelenati

La riforma della legge, la consultazione lampo, la rinuncia a combattere fenomeni radicati, la formazione e l'occhiolino ai sedicenni
Gianni Righinetti
06.02.2023 06:00

Negli ultimi giorni, con l’evidente fine di alimentare la stantia campagna elettorale, stanno spuntando proposte ad impatto, spot altisonanti (come quello di cavalcare il marchio UNESCO per San Provino e San Martino) e viene pure rispolverato uno dei tormentoni che si trascinano da anni: la Legge sugli esercizi alberghieri e sulla ristorazione, quella «Lear» che puntualmente ha infiammato la politica come pochi altri dossier sanno fare. Il menu proposto è stile take-away, al punto che la consultazione delle cerchie interessate sarà lampo, durerà un paio di settimane. Quasi che sia in atto un incendio e occorra correre per evitare il peggio. La politica, da sempre contraddistinta da tempi biblici, ci presenta una accelerazione piena di incognite in un settore delicato e dalle molteplici sfaccettature. Poi a mettere una ciliegina sulla riforma legislativa ci pensa la filosofia che sostiene il tutto: «più libertà, meno burocrazia». Dire esercizi pubblici significa fare riferimento anche alla vita sociale di tutti noi, dal caffè al bar del paese o lungo la strada che ci porta al lavoro per un colpo d’occhio ai giornali o per il primo appuntamento della giornata, un pranzetto fugace sul mezzogiorno, l’aperitivo serale o la cenetta per festeggiare o in quella sera che non si ha voglia di mettersi ai fornelli. L’esercizio pubblico è un luogo importante per chi vive la comunità ed è diventato un biglietto da visita per il turismo, tanto più nell’era dell’online che permette a chiunque di conoscere l’esperienza vissuta in quel locale da parte di chi ha pasteggiato prima di noi. Ogni bar e ristorante ha poi la sua etichetta, determinata dalla storia e dalla nomea che si è fatto, da una parte da chi lo gestisce, dall’altra da chi lo frequenta abitualmente. In Ticino abbiamo un’ampia scelta con 2.300 esercizi pubblici, ognuno può senz’altro trovare quello che più fa al caso suo. Però se da una parte è buona cosa mantenere la quantità adeguata al mercato del nostro territorio, siamo del parere che la qualità debba essere mantenuta e i vincoli che contribuiscono a non farla decadere, non vadano eccessivamente allentati. L’idea di rendere più facile, diremmo semplificando, la concessione della gerenza con il declassamento del percorso formativo da diploma cantonale di esercente riconosciuto a livello federale con sette materie da conoscere a semplice diploma cantonale con tre materie di base per avere conoscenze su «igiene; legislazione; servizio e conoscenze professionali» non trova una spiegazione convincente. Va bene combattere la burocrazia, ma non certo a scapito della formazione. Per anni si è tentato di combattere le cosiddette «gerenze fittizie» e puntualmente, fatta la legge, trovato l’inganno. Qualche scaltro personaggio attivo nella giungla della ristorazione ha scovato la scappatoia. E allora? Si rinuncia a combattere e si allentano le maglie: da una parte con la possibilità della gerenza multipla (fino a tre locali) e dall’altra abolendo l’obbligo di presenza del gerente perché «ha tanto altro di cui occuparsi». Sono motivazioni e macchinazioni che lasciano allibiti e richiamano il criterio della qualità.

E veniamo a un paio di punti che verosimilmente animeranno il dibattito pubblico dato che concernono tutti i cittadini. A partire dalla «liberalizzazione degli orari di apertura», il tutto con la supervisione dei Comuni. In sostanza Governo e Parlamento si apprestano a scaricare sulle spalle delle realtà locali la variabile pubblicamente parlando più delicata, quella che finisce per presentare il conto dal profilo della quiete e dell’ordine pubblico. Ci sono locali e locali, ci sono luoghi e luoghi. Ben vengano aperture più generose, anche per il turismo, ma ai cittadini che vivono a ridosso di queste realtà, chi pensa? Una mossa che appare semplice e semplicistica nello stesso tempo. E terminiamo queste riflessioni con il regalo che viene fatto alla gioventù (ma a beneficiarne in termini economici saranno gli adulti). Si propone l’accesso ai locali notturni (discoteche ma non night) a partire dai 16 anni, mantenendo la regola dei 18 anni per consumare bibite alcoliche (fermentati e distillati). E perché? «Perché la società cambia, evolve», ma garantendo che chi sgarrerà sull’alcol sarà sottoposto a punizioni esemplari. Poveri esercenti, vien da dire, ma come faranno a controllare all’interno al bancone, con musica, luci e ragazzi che ballano. Non si tratta di essere bacchettoni, ma appare un regalo avvelenato per chi dovrà gestire e per la società, con lo Stato che contribuisce a spingere i minorenni verso i locali pubblici. È vero che spesso ad essere incapaci di mettere un freno o dei paletti sono le famiglie stesse, ma fissare per legge norme di questa portata (anche se così fan tutti) solleva almeno qualche legittima perplessità.