Giustizia, eppur qualcosa si muove
La frase «eppur si muove» attribuita a Galileo Galilei che, secondo tradizione non confermata, venne pronunciata alludendo alla Terra davanti al Tribunale dell’Inquisizione, calza a pennello per quanto sta accadendo in queste settimane sul pianeta Giustizia. Dopo anni di immobilismo, documenti fumosi e intempestivi, come la famosa riforma «Giustizia 2018» voluta dal direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, la classica montagna che ha partorito (con colpevole ritardo) un topolino, finalmente si vede qualcosa di concreto. Un plauso alla sottocommissione Giustizia del Parlamento coordinata da Sabrina Gendotti (Centro) che ha lavorato alacremente negli scorsi mesi, dando vita a un documento che, e questa è una novità in politica, non è finito in un cassetto. Sfoggiando un tempismo stucchevole ieri la Commissione Giustizia e diritti ha sottoscritto una serie di risoluzioni all’attenzione del Consiglio di Stato per dare vita a un processo virtuoso di riforme. La rotta è tracciata e, in fondo, poco importa se a dare il «la» è stato il cosiddetto «caso Tribunale penale cantonale (TPC)» con i suoi cinque giudici ad ergersi protagonisti di una diatriba personal-legale. Su quella vicenda tutti attendiamo le risultanze che emergeranno dall’indagine del procuratore straordinario incaricato di mettere in ordine i fatti e le responsabilità. Ed è un bene che, fatte salve un paio di risoluzioni che prendono spunto dal TPC, il nocciolo duro della riforma si riferisce a problemi comprovati e discussi in maniera ridondante da anni senza che si trovi non solo una via d’uscita, ma neppure uno spiraglio di luce e una minima convergenza. Le larghe intese oggi sono sul tavolo e toccherà al Governo cogliere questa spinta propositiva. È una specie di occasione unica e, nel pianeta cantonticinese della litigiosità, diremmo pure irripetibile. I temi sui quali la Commissione ha deciso di entrare in materia sono diversi: si va dall’autonomia finanziaria della Giustizia a quello che potremmo descrivere un po’ come l’annoso dossier delle nomine, al piano di carriera dei magistrati, alla direzione del Ministero pubblico. E, ciliegina sulla torta della concordanza, vi è anche un atteso ritorno: la figura del sostituto procuratore pubblico, dato che nel contesto finanziario attuale non è immaginabile la crescita del numero dei procuratori a pieno titolo.
Chi negli ultimi anni ha mosso la critica «dell’immobilismo dipartimentale» ha più ragione che torto, ma fino a poco fa aveva messo in atto la stessa strategia, fatte salve alcune iniziative parlamentari lanciate spesso più per fare rumore in attesa dell’eco mediatica che con sincera convinzione e determinazione. Dicevamo che la questione TPC qua e là emerge, in particolare quando viene lanciata la proposta di un codice etico, da discutere anche sulla base dei suggerimenti del Consiglio della magistratura, sollecitato come non mai in queste settimane durante le quali sono emerse delle falle nel transatlantico legale che sorregge il nostro Stato di diritto e che deve disciplinare anche le regole alle quali deve sottostare chi è alla guida (o funge da copilota) della «macchina Giustizia». Responsabilità fa anche rima con fiducia e sfocia nell’autonomia. Un termine che s’intende dal profilo finanziario, gestionale e amministrativo, un passo già compiuto da altri Cantoni, ma che in Ticino è sempre stato tabù. Perché l’autonomia del terzo potere dello Stato ha sempre conosciuto qualche interferenza da parte della politica secondo il motto: chi paga comanda. Lungi da noi ventilare l’ipotesi che le sentenze le suggeriscano coloro che avallano le dotazioni finanziarie per qualsiasi scopo, ma il nuovo modello ha senz’altro il pregio di distinguere meglio il ruolo politico-strategico da quello amministrativo operativo. Di certo è un cambiamento di passo radicale, persino coraggioso rispetto alle logiche del passato. Ma ben venga finalmente un po’ di coraggio. Una virtù che continua a fare difetto nel sistema di nomina con il Parlamento che non allenta la morsa, rimanendo determinato nel nominare in prima persona. Ma viene proposta una revisione di composizione, ruoli e competenze della Commissione d’esperti indipendenti chiamata a preavvisare i profili da sottoporre alla politica. Le porte della stessa vengono aperte al procuratore generale, a un esperto in gestione delle risorse umane e al presidente del Tribunale d’Appello. Inoltre, dato che l’esperienza insegna, oltre ad avere la certezza di suggerire capaci giuristi, si vuole approfondire la conoscenza della persona che completa, sostiene e suggella le conoscenze tecniche, generando quello che si potrebbe descrivere come un magistrato nella sua interezza.
Per essere schierati nella prima linea della Giustizia occorre anche equilibrio e capacità non propriamente comuni. Non si tratta di trovare extraterrestri, ma di rendersi conto delle virtù e delle qualità che tutti noi cittadini vogliamo abbia chi svolge un compito tanto delicato: quello di accusare, condannare e giudicare anche all’espiazione di una pena privativa di un elemento essenziale della nostra vita. La libertà.