L'editoriale

Il capitale di fiducia è il più caro sul mercato

I requisiti legali previsti per le banche troppo grandi per fallire, intendendo con questa definizione quelle che non possono essere lasciate cadere in modo disordinato, erano rispettati dal Credit Suisse e anche ampiamente
Generoso Chiaradonna
12.04.2024 06:00

La fiducia è il capitale più importante di una banca. Una volta perduta, è difficilissimo riconquistarla. E non c’è alcun decreto che possa ristabilirla. Il compianto Credit Suisse, se possiamo usare questa parola, al di là degli errori strategici commessi dai vertici non peccava – almeno, è quello che ci hanno raccontato – di capitale proprio. Mancò la liquidità, soprattutto all’estero, prosciugata da una moderna corsa agli sportelli a portata di pollice, indicatore del crollo della fiducia. I requisiti legali previsti per le banche troppo grandi per fallire, intendendo con questa definizione quelle che non possono essere lasciate cadere in modo disordinato, erano rispettati dal Credit Suisse e anche ampiamente. Le norme too big to fail infatti, riviste o meno, mirano a una liquidazione ordinata senza che la débâcle di un soggetto sistemico per stazza e connessioni con il sistema finanziario crei danni all’intera economia. Lo si fa preservando d’autorità le funzioni fondamentali quali il traffico dei pagamenti cruciali per cittadini e imprese oltre al risparmio della clientela fino a cento mila franchi, però. E soprattutto prima di un intervento pubblico e quindi del contribuente, il salvataggio della banca in crisi dovrebbe passare in prima istanza attraverso il cosiddetto bail-in. Ovvero, semplificando molto facendo passare alla cassa, nell’ordine, prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti e per ultimi i clienti con depositi oltre i 100 mila franchi sul conto.

A marzo dello scorso anno l’incombente dissesto del Credit Suisse è stato scongiurato grazie all’acquisizione della banca da parte di UBS, organizzata e protetta con importanti garanzie da parte della Confederazione. Un intervento salvifico che permise di preservare la stabilità finanziaria non solo nazionale ed evitare enormi danni all’economia e ai contribuenti svizzeri. Questo è un dato di fatto e a posteriori si può dire che è stato evitato il baratro per un soffio. La restituzione delle linee di credito di emergenza e la rinuncia delle garanzie pubbliche da parte di UBS ha anche preservato i contribuenti. Rimangono le vertenze giudiziarie sulla cancellazione su ordine della Finma di un particolare titolo di credito – gli AT1 (ne abbiamo riferito ampiamente la scorsa settimana) – per un valore nominale di sedici miliardi di franchi il cui esito, si intuisce, sarà incerto e soprattutto l’iter legale durerà ancora alcuni anni.

Ora il Consiglio federale, parola di Karin Keller-Sutter, vuole evitare la riedizione di un caso Credit Suisse e ha proposto – non sono però ancora norme vincolanti – di dare un ulteriore giro di vite alla normativa too big to fail. Norme che formalmente riguardano oltre a UBS, Raiffeisen, PostFinance e la Banca cantonale di Zurigo (ZKB). Quando però si parla di rilevanza sistemica globale la mente corre alla sola UBS. La ricetta proposta si basa su tre direttrici: potenziare i controlli e poteri della Finma in materia di governance d’impresa con un occhio vigile ai bonus ingiustificati; rafforzare la liquidità e infine ampliare gli strumenti per prevenire le crisi con tutto quello che ciò vuol dire.

Quando quindici anni fa, sull’onda emotiva della crisi finanziaria globale, furono varate le prime regole internazionali per le banche «troppo grandi per fallire», l’idea era appunto di poterne permettere «l’uscita dal mercato in modo ordinato», per usare le parole del Consiglio federale. Un anno fa però si preferì non sperimentare le norme sul too big to fail. L’urgenza era quella di evitare una crisi di fiducia – e torniamo al capitale primo delle banche – che si propagasse al sistema finanziario internazionale. Nessuno sa cosa succederà tra dieci o quindici anni e quali problemi si troveranno ad affrontare – non solo in Svizzera – le autorità di vigilanza. Nessuno auspica una crisi tale di una o più banche sistemiche da dover testare le norme che sono in via di definizione. Ma una cosa è molto probabile: difficilmente lo Stato starà con le mani in mano permettendo «un’uscita disordinata dal mercato» di un soggetto troppo grande per fallire.