L'editoriale

Il mondo continua a bruciare sempre più petrolio

L'anno scorso la domanda di greggio è stata la più alta in assoluto: 102 milioni di barili al giorno - Una fonte energetica primaria che si fa fatica ad abbandonare
Generoso Chiaradonna
25.04.2024 06:00

A trainare l’economia mondiale è ancora il petrolio. Purtroppo, verrebbe da aggiungere. L’anno scorso la domanda mondiale di greggio è stata la più alta da quando l’umanità, o meglio la civiltà industriale, ha incominciato a sfruttare in massa questi resti organici fossili quale fonte energetica primaria. Stando ai dati dell’IEA, acronimo inglese che sta per Agenzia internazionale dell’energia, nel 2023 la domanda giornaliera di petrolio ha superato i 102 milioni di barili. L’aumento rispetto all’anno prima è stato di 2,4 milioni di barili al giorno. Ogni barile, per fare mente locale a qualcosa che conosciamo, equivale a circa 159 litri che vengono poi trasformati in gran parte in carburanti (benzine, nafta, cherosene) ma anche in altri prodotti usati dall’industria chimica, tra cui gomme sintetiche; le famigerate plastiche contro cui il Parlamento europeo ha appena votato norme vincolanti per gli Stati UE, se non per eliminarle almeno per ridurle ai minimi termini; le vernici e altri prodotti base per la farmaceutica. Insomma, quei residui organici di piante e animali che ci hanno preceduto su questo pianeta 200 milioni di anni fa, sono le due facce della medaglia che caratterizza la nostra contemporaneità: il progresso economico e sociale dell’ultimo secolo e allo stesso tempo il declino ambientale. Le fonti energetiche fossili, infatti, sono all’origine della gran parte dei gas a effetto serra, tra cui l’anidride carbonica responsabile dei cambiamenti climatici e contro cui si sta facendo - almeno a parole - una battaglia epocale. Se vogliamo lasciare un pianeta ancora vivibile alle future generazioni, ridurre la cosiddetta impronta carbonica delle attività umane dovrebbe essere la priorità di chiunque abbia responsabilità di governo a tutti i livelli istituzionali, indipendentemente dall’orientamento politico. Insomma, i temi ambientali e di sostenibilità dovrebbero essere trasversali a qualunque emiciclo parlamentare.

Gli obiettivi di riduzione delle emissioni sono ambiziosi e fissati in accordi internazionali firmati con molto entusiasmo e facce sorridenti da capi di Stato e di governo che però rischiano di rimanere lettera morta. L’ultima conferenza delle Nazioni Unite, quella denominata COP28 tenutasi lo scorso autunno a Dubai, è arrivata addirittura a ipotizzare la fine delle fonti energetiche di origine fossile. Per la prima volta, infatti, è stata messa nera su bianco in un documento di una conferenza internazionale una data di scadenza per l’uso di gas e petrolio. Un impegno solenne che lascia il tempo che trova, a giudicare appunto dai dati dell’IAE relativi a estrazione e domanda globali di greggio.

Gli Stati Uniti, per dire, l’anno scorso hanno estratto più petrolio di qualsiasi altro Paese. E questo per il sesto anno consecutivo, con una estrazione media di 12,9 milioni di barili al giorno, in aumento rispetto ai 12,3 milioni del 2019, che all’epoca aveva stabilito un record globale. È molto di più di quanto estrae l’Arabia Saudita, per esempio, che nell’immaginario collettivo è la petro-monarchia per eccellenza. O della Russia, altro noto estrattore ora sotto sanzioni internazionali a causa dell’aggressione all’Ucraina che però ha mantenuto inalterata la sua quota di mercato (7,6 milioni di barili al giorno) grazie a Cina e India che hanno assorbito le mancate vendite all’Europa. Ciononostante, dal lato dei produttori l’offerta di petrolio ha incontrato difficoltà nel rispondere alla domanda, principalmente per le scelte dei paesi Opec+ che hanno progressivamente tolto dal mercato circa 5 milioni barili - il 5% della produzione totale – principalmente per cercare di tenere alta la quotazione. E le prospettive di domanda per l’anno in corso non sono viste in calo, anzi. L’Agenzia internazionale per l’energia stima un ulteriore progresso in circa 900 mila barili al giorno. Altre istituzioni stimano una crescita ben superiore, compresa tra gli 1,5 e i 2,2 milioni. E i record, come si dice nello sport, sono fatti per essere infranti.

Come conciliare questi dati e prospettive con gli obiettivi di riduzione a livello globale dei gas a effetto serra, al di là delle implicazioni economiche e di tutti i programmi che mirano alla transizione energetica e alla sostenibilità, rischia di rimanere uno degli enigmi irrisolti della modernità. Il processo di riconversione verso un’economia circolare, alimentata da energia pulita non sarà però indolore e nemmeno gratuito. Questo non vuol dire che bisogna abbandonarsi al fatalismo climatico. Ma il rischio di tagliare fuori larga parte della società è elevato e non si può sottacere.