Il commento

Il primo a risparmiare deve essere lo Stato

Il Governo con 14 mosse ha dato la rotta per la prima fase dei sacrifici - Un passo (tardivo) nella giusta direzione, ma con scivolone sulle tasse causali
Per ora, più che una forbice, è stata presa in mano una limetta per le unghie. ©Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
27.02.2023 06:00

Il Consiglio di Stato che per i 4/5 dei suoi membri si appresta a chiedere agli elettori fiducia per altri quattro anni si è finalmente mosso sul fronte del risanamento della spesa pubblica. Ma lo ha fatto prendendo in mano la limetta per le unghie e scivolando sulla buccia di banana delle tasse causali sollecitando l’esatto contrario di quanto avallato dal popolo meno di un anno fa. Quanto messo nero su bianco e trasmesso in quattordici punti è però un primo benvenuto passo, seppur tardivo, per seguire una via da sempre difficile, impervia ma obbligata: la strada dei risparmi. C’è chi si ostina ad affermare che lo Stato non può ragionare come l’economia privata e che non può ridurre la sua spesa, pena il tracollo delle prestazioni e che nella macchina statale non ci sono margini per risparmiare. È la trita e ritrita litania che ci viene propinata da sinistra, da coloro che «gli sgravi sono dannosi» e «lo Stato deve essere sovrano in tutto e per tutto». Una sorta di mamma chioccia pronta ad assecondare ogni nostra necessità, quando non capriccio. Le cose invece stanno diversamente, lo Stato non va smantellato, ma non si può esimere dall’affrontare dei sacrifici, nell’interesse di quelle classi più deboli che vanno sì sostenute, ma pure responsabilizzate. E che devono essere coscienti di cosa comporta erogare franchi su franchi per ogni genere di servizio o aiuto. La missiva trasmessa agli alti funzionari, sollecita un intervento tempestivo, ma ragionato, i cui effetti concreti (quelli finanziari) si potranno saggiare solo quando verranno fatte puntuali previsioni e ognuno, nell’amministrazione e in Governo avrà fatto il proprio dovere seguendo quanto deciso dai cittadini il 15 maggio 2022. Quel giorno, con il 56,9% di voti favorevoli, era stato avallato l’ormai famoso «decreto Morisoli» che diceva no all’aumento di tasse e balzelli, sì alla riduzione della spesa, sì a conservare sussidi ai bisognosi e no al ribaltamento di oneri sui Comuni. Allora, e lo abbiamo già ribadito più volte, era qualcosa privo di contenuto, persino asettico e frutto di un’abile mossa dell’UDC, di colui che ha la paternità del decreto, seguito dalla Lega, dal PLR e da una parte dell’allora PPD. La legittimità popolare era poi giunta grazie a un maldestro referendum lanciato dalla sinistra, con in testa il PS. Ora con il fresco documento governativo si passerà dal dire al fare e non si potrà più tergiversare, perché avere finanze sane non è uno sfizio contabile (Covid docet), ma pure perché il Preventivo 2023, senza l’incasso dei 137 milioni di franchi della Banca nazionale non potrà chiudere a quota -79,5 milioni: restando tutti con le mani in mano sprofonderà fin verso quota 200 milioni.

Quella messa in atto non sarà che una prima tappa, e non sarà neppure la più dolorosa che il nuovo Governo e il nuovo Parlamento saranno chiamati ad affrontare. Non è più il tempo per amministrare nella speranza che qualche buona stella porti bene e risolva tutto. Fare politica, e questo messaggio va soprattutto al plotone dei candidati che in queste settimane sognano un posto al sole, farà sempre più rima con scontentare, o meglio, con l’assumere scelte responsabili nell’interesse comune. La rotta indicata dal Governo tende finalmente (avverbio che usiamo per la seconda volta) a mettere un freno all’indiscriminata crescita del personale dello Stato. Ora si dice che «così non si può andare avanti», presto lo si dovrà mettere in pratica, scontentando molti e frenando quel clientelismo che nello Stato è merce corrente ed è ragione di vita anche per i partiti (senz’altro per quelli che hanno responsabilità governativa). Ben venga, finalmente, (e tre) un’azione condotta con misura e determinazione da parte di una politica che dovrà imparare a dire anche «no, non possiamo permettercelo».

Quello che non può essere digerito e accettato di quanto contenuto negli ultimi punti del documento, è l’aumento delle tasse causali e la furbata (che fa pure un po’arrabbiare) di prelevare sempre il massimo possibile quando la forchetta a disposizione lo consente. Le tasse causali sono quanto di più antisociale esista, con questo non si perora di certo la cancellazione delle stesse, ma almeno di agire con moderazione e non con fare vessatorio come maldestramente (e in dispregio del voto popolare) il Consiglio di Stato consiglia di agire.

Lo Stato può e deve imparare a risparmiare, ad essere parsimonioso come tocca esserlo a gran parte dell’economia privata, delle famiglie e soprattutto a quel ceto medio tartassato e privato di aiuti al quale tutto l’arco politico dice di guardare con attenzione e considerazione. Prima di chiedere sacrifici si dimostri di essere capaci di «fare» sacrifici. È elementare ma, ce lo insegna la storia del nostro Cantone, non scontato.