L'editoriale

La campagna, il risotto e il prezzo democratico

Dopo le Comunali inizierà il lavoro vero e proprio? Lo diciamo credendoci poco: il Ticino, è risaputo, è un Paese in perenne campagna
Gianni Righinetti
13.04.2024 06:00

Le Elezioni comunali di questo week-end, in vista dei risultati a livello di Municipio attesi per domenica entro sera, hanno una valenza più locale che cantonale. Ma questo non significa che le segreterie delle principali forze politiche possano dormire sonni tranquilli. Le Comunali chiudono il tris degli appuntamenti con le urne nell’arco di dodici mesi e si presteranno ad un bilancio complessivo: ci sarà chi gioirà, chi si leccherà le ferite e una terza categoria. Coloro che tenderanno a sminuire gli insuccessi, sviando l’attenzione nel tentativo di rivoltare la frittata per sottolineare che “non è andata poi così male”. Una volta chiuse le urne, noti i risultati e ammortizzate le scosse telluriche con eventuali appendici per l’elezione del sindaco, inizierà il lavoro vero e proprio. Ma lo diciamo credendoci poco e senza farci troppe illusioni. Il Ticino, è risaputo, è un Paese in perenne campagna. A generare questa dinamica contribuiscono più variabili, in parte dettate dai risultati elettorali e dal naturale spirito di rivalsa, dai casi più o meno scottanti che non mancano mai, dall’acredine mai sopita tra i partiti e i loro principali esponenti, come pure dalla massiccia mediatizzazione che caratterizza il nostro Cantone. A rendere permanente la campagna contribuiscono anche i diritti popolari, da sempre gettonati nella forma di iniziative e soprattutto di referendum. Sarà il caso anche il prossimo 9 giugno, quando si voterà, tra l’altro, sugli sgravi fiscali. Un dossier che vede come parte particolarmente interessata per gli effetti, proprio i Comuni. Va così la democrazia, in un certo senso croce e delizia. Ma soprattutto grande opportunità di scelta e di libera espressione. Ammesso che i cittadini (oggi agevolati anche dal facile e comodo voto per corrispondenza) partecipino agli appuntamenti con le urne. Cosa sempre meno scontata: le Cantonali, con il 56% di votanti hanno fatto registrare il dato più basso per le elezioni tenutesi in Ticino dal 1921 ad oggi (59,3% nel 2019), mentre le Federali, con il 48% erano risultate all’insegna della stabilità (-1,6 punti percentuali rispetto al 2019). Staremo a vedere il dato a livello locale, premettendo che le prime indicazioni del voto per corrispondenza degli scorsi giorni, su per giù, prevedevano percentuali in linea con il precedente appuntamento elettorale.

Di certo la campagna alle spalle non è stata frizzante e ricca di temi. Mettendo a fuoco la situazione a Lugano constatiamo che ha dominato la coabitazione in concorrenza sulla lista Lega-UDC tra il sindaco uscente Michele Foletti e il municipale aspirante Marco Chiesa. Con la questione del sindacato a fare da sfondo quale possibile danno collaterale sull’alleanza d’area tra cose dette e altre non propriamente dichiarate sull’asse Berna (dove Chiesa è consigliere agli Stati) e la città sul Ceresio. Per il resto è stata una noia mortale. Le solite questioni trite e ritrite, perché da anni ci si vanta dei progetti realizzati (LAC) o in costruzione (Polo sportivo e degli eventi), mentre intorno è il deserto. Nel senso che si parla in maniera ridondante e gli esempi non mancano: Polo congressuale, viabilità e commercio. Insomma, è un continuo parlarsi addosso su progetti che vengono realizzati e altri che appartengono alla categoria dei sogni (irrealistici e irrealizzabili), come un lungolago a misura di cittadino e di turista. Come pure arterie in grado di non mandare in perenne tilt la mobilità per effetto (dell’irrisolvibile?) dilemma del traffico di transito al quale Lugano è condannata per la sua configurazione tra territorio edificato, colline, montagne e lago. Si parla, il più delle volte ripetendo l’ovvio, di ciò che è irrealizzato, per mancanza di volontà, o irrealizzabile, per mancanza di visioni e lungimiranza. Vale per la grande Lugano, ma anche per altre realtà locali più contenute.

Quello descritto non è che un esempio di una campagna che, ovunque e non solo a Lugano, è stata scandita dal tic tac delle lancette che ci stanno accompagnando al capolinea, all’insegna del piattume più piatto che ci poteva essere. D’altronde l’appuntamento con le Comunali è la terza fedele copia, all’insegna della pochezza nei contenuti e nelle visioni: dopo le Cantonali e le Federali, ecco, appunto, il rinnovo dei poteri del terzo livello istituzionale. Sperare in qualcosa di meglio e più stimolante in vista del 2027 è lecito, ancorché prettamente illusorio. Sembra che la politica viva sempre più di risottate, maccheronate o gnoccate. Momenti all’insegna della convivialità, dell’allegria e di tanto buon umore. Bene, ci sta, ma il problema è che manca la politica del confronto e il tutto finisce nella più spinta autoreferenzialità. E questa, al cittadino, non interessa per nulla. Anche se corre per gustarsi un piatto gratuito. Il prezzo, alla fine, lo paga la credibilità del sistema-partito e, soprattutto, la democrazia.  

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