L'editoriale

La diplomatica empatia di Cassis per la Palestina

Dopo mesi e mesi di guerra tra Israele e Hamas, si sono di colpo intensificate le richieste indirizzate al Consiglio federale, e in particolare al «ministro» degli Esteri, di prendere posizione – Il viaggio ha cambiato poco o nulla, poco o nulla d’altronde avrebbe potuto cambiare
Paolo Galli
11.06.2025 20:30

Prendere posizione. Dopo mesi e mesi di guerra tra Israele e Hamas, si sono di colpo intensificate le richieste indirizzate al Consiglio federale, e in particolare a Ignazio Cassis, di prendere posizione. E la Svizzera non è un unicum. È una pressione esplosa dopo troppo silenzio. Esplosa proprio quando il silenzio era diventato troppo ingombrante. Come un fiume in piena, generato da una enorme alluvione, il corso della storia si è fatto travolgente, a tal punto che oggi tutti i capi di Governo sono chiamati a far sentire la propria voce. Un esercizio alquanto delicato, ma come ci diceva in piena pandemia un altro consigliere federale, Alain Berset - lo è stato fino al 2023 -, «il mandato prevede che ci facciamo trovare pronti proprio nel momento di un forte impatto, nell’affrontare una crisi. L’ho sempre saputo, in tutti questi anni, ed ero preparato a questo momento». Quest’altro momento di crisi è in mano a Cassis, è il suo momento, la voce - da più parti reclamata - deve essere la sua.

Il ticinese non è «ministro» da «sparate». Chi si aspettava da lui una severa condanna nei confronti del Governo Netanyahu sarà rimasto deluso. Il viaggio in Medio Oriente va considerato come un passo nella giusta direzione, quel che resta, però, è un tentativo di espressione di una diplomatica empatia. «La necessità di tornare alla diplomazia è urgente», ha detto. Una dichiarazione di testa, più che di pancia, e questo non è per forza un male. Gli orrori di Gaza sono però un’altra cosa. Suscitano altri sentimenti e richiedono azioni concrete. Da qui, le richieste di posizioni più nette, di fatti. Cassis ha espresso una «profonda preoccupazione», ha parlato di «insostenibile sofferenza umanitaria». Tenui sfumature. Specie se pensiamo ad altre personalità politiche, a von der Leyen - «L’azione di Israele è abominevole» -, a Merz - «Non capisco più l’obiettivo dell’esercito israeliano a Gaza» - o a Sanchez e al suo «Adesso basta!». Macron ha chiamato gli europei, tutti, a «rafforzare la posizione collettiva contro Israele». Starmer ha ventilato sanzioni.

Cassis, sottolineando le responsabilità di Israele quale «potenza occupante», ha ribadito «l’appello per un accesso umanitario immediato» e l’appoggio a «una soluzione a due Stati», l’unica via «per raggiungere pace, sicurezza e dignità». Già più volte aveva affermato che, dal suo punto di vista, non esistono le condizioni per il riconoscimento di uno Stato palestinese, ma in questo caso ha aggiunto che questa sarebbe una naturale conseguenza. La Svizzera, attraverso Cassis, ha riaffermato il proprio impegno in favore del dialogo, del rispetto del diritto umanitario e di una soluzione al conflitto che sia politica, oltre gli orrori. Orrori che seguono la strage di Hamas del 7 ottobre 2023. Il viaggio di Cassis ha cambiato poco o nulla, poco o nulla d’altronde avrebbe potuto cambiare. Perché una questione sono le parole, i viaggi simbolici, forse persino dovuti, un’altra le decisioni concrete, le impronte che restano.