L'editoriale

La giustizia tra le pieghe del nuovo regolamento

L'intero nuovo regolamento del Tribunale d’appello mostra in filigrana la volontà della Giustizia ticinese di reagire, dopo i contraccolpi del cosiddetto caos al TPC, a quelli che potevano essere percepiti come attacchi, diretti o indiretti, alla propria indipendenza
Francesco Pellegrinelli
27.12.2025 06:00

Nel Nouveau Roman, movimento letterario francese del secondo Novecento, la descrizione non è mai un elemento accessorio o decorativo. Al contrario, è attraverso la descrizione che l’azione narrativa procede per accumulo, variazione e differenziazione. In fondo, ogni descrizione aggiunge un dettaglio, riformula un dato, spostando di volta in volta il punto di vista del lettore.

Lo sanno bene gli estensori del nuovo regolamento del Tribunale d’appello, entrato in vigore il 1. dicembre di quest’anno nel silenzio, quasi fragoroso, della politica. Che pure negli ultimi tempi, di giustizia, si è occupata parecchio. E non sempre in modo silenzioso.

Forzando un po’ la mano, per analogia, in quel regolamento adottato all’unanimità dal Plenum dei giudici potremmo leggervi un intreccio, quasi un pezzetto di storia della parabola che ha caratterizzato la Giustizia ticinese nel corso del 2025. Tra le note, i capoversi e i nuovi articoli inseriti ex novo nel testo emergono infatti alcuni segnali che il terzo potere dello Stato ha voluto inviare alla politica. Come spesso succede, la storia si nasconde tra le pieghe, in questo caso anche tra gli scarti minimi di un regolamento.

Iniziamo, allora, da un elemento apparentemente secondario che tuttavia restituisce il clima squisitamente politico di tutta la vicenda. Stando al nuovo regolamento, tra i compiti del segretario generale del Tribunale d’appello figura anche l’organizzazione della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario. Toh! L’anno giudiziario, quel momento altamente istituzionale, oltre che simbolico, che quest’anno ha letteralmente mandato in tilt le relazioni tra Governo, Parlamento e Giustizia. Inutile sottolineare che il nuovo articolo che attribuisce formalmente il compito di organizzare la cerimonia al Tribunale rappresenta una ferma presa di posizione da parte della Giustizia nei confronti di chi, per un attimo, ha pensato di strappare il primato della giornata (e la sua organizzazione) al terzo potere dello Stato.

Ma il punto decisamente più indicativo introdotto con il nuovo testo riguarda la gestione interna delle risorse del personale. Secondo il regolamento, la Commissione amministrativa, ossia l’organo interno di gestione e coordinamento dell’autorità giudiziaria cantonale, potrà infatti «adottare misure atte a favorire l’equilibrio del carico di lavoro», spostando tra le varie Sezioni e Camere del Tribunale i funzionari, come per esempio i cancellieri, laddove c’è maggiore bisogno. La portata della misura andrà valutata nei prossimi anni, ma è chiaro che rappresenta un cambio di paradigma netto rispetto alla gestione ordinaria delle risorse dello Stato. Un cambiamento che, di fatto, rompe con la logica dei compartimenti stagni dominante nella pubblica amministrazione e nei suoi cinque dipartimenti. Al contempo, manda un segnale esplicito al Dipartimento delle istituzioni che in passato aveva proposto misure, sempre mal digerite, per gestire personale e carichi di lavoro interni alla Giustizia.

In realtà, l’intero nuovo regolamento del Tribunale d’appello mostra in filigrana la volontà della Giustizia ticinese di reagire, dopo i contraccolpi del cosiddetto caos al TPC, a quelli che potevano essere percepiti come attacchi, diretti o indiretti, alla propria indipendenza: ai codici di condotta invocati dalla politica, il Tribunale d’appello ha risposto con i fatti.

Emblematico, al riguardo, è il tema della rotazione delle cariche. Il regolamento, in linea con quanto già deciso dal Gran Consiglio per i presidenti e i vicepresidenti di Sezione, ha esteso spontaneamente il principio anche ai presidenti e vicepresidenti di Camera, generalizzando la lotta ai «giardinetti» e alle presidenze troppo longeve. In questo senso, si muove anche l’obbligo di convocare, almeno una volta all’anno, il Plenum dei giudici e delle Sezioni, per favorire un confronto interno che fino ad oggi è mancato. Sia chiaro: si tratta di piccoli cambiamenti che tuttavia in prospettiva assumono un significato inedito. Il Tribunale d’appello si vuole proporre come un corpo maggiormente coeso, capace di dialogo e confronto interno.

Va da sé che si tratta di un primo e formale passo all’interno di un quadro normativo che resta invariato, in attesa di quelle modifiche legislative, oggi al vaglio di Governo e Parlamento, che potrebbero garantire alla Giustizia ticinese l’auspicata autonomia finanziaria. Un’autonomia che inaugurerebbe un capitolo nuovo, forse necessario per spoliticizzare alcuni processi, a cominciare dalla discussa e mai risolta nomina dei magistrati.