L'editoriale

La politica, il clima deteriorato e l'ipocrisia

Mentre in Ticino si registra un deficit delle idee, il Governo latita, l'antipolitica galoppa ed emergono minacce malavitose
Gianni Righinetti
22.04.2024 06:00

Viene proprio da dire «avanti!» (non nel senso del partito-persona di Amalia Mirante), ma con qualche idea in grado di dare una reale prospettiva al Ticino di domani. Il tris di elezioni è superato e alle spalle, ma da chi è al volante ci aspettiamo che non tenga gli occhi rivolti verso lo specchietto retrovisore, bensì proiettati sull’orizzonte, sul futuro. Il primo da cui ci attendiamo di più è il Consiglio di Stato, gremio chiamato a governare, che di fatto è sparito dai radar dallo scorso autunno, dal giorno cioè in cui ha presentato il Preventivo 2024: una pietanza indigesta e indigeribile. Un atteggiamento che, di fatto, ha contribuito a lasciare tutta la scena a chi diceva no alle misure proposte. Se chi propone non spiega argomentando, è scontato che ad avere la meglio sarà chi si sdraia sui binari. In Ticino non si erano mai viste tre manifestazioni di piazza ben frequentate in soli pochi mesi e uno sciopero (invero dimostratosi una farsa senza grande seguito). Il successo della piazza è però cresciuto a causa del letargo di chi era istituzionalmente preposto a dimostrare responsabilità. E qui all’appello è mancato il Parlamento, almeno quella porzione dell’emiciclo che si era tanto battuta per volere il «decreto Morisoli», promettendo al cittadino-elettore un nuovo orientamento, uno stop ai presunti sprechi e a stare attenti alla gestione delle entrate. Un comparto che compie ogni anno il miracolo grazie al «consolidamento dei ricavi fiscali». Peccato che sul fronte della spesa manchi un miracolo di pari entità capace di mettere in evidenza un concreto virtuosismo statale. In sostanza non ci resta che constatare che in assenza di una politica saldamente ancorata alle idee, opinabili, ma questo è insito nel sistema democratico, tutto si concentra sulle persone. Il Governo, che si vorrebbe come un penta-gremio, si ritrova formato da cinque consiglieri di Stato, impegnati a mostrarsi forti come unità, ma che di fatto stanno fallendo questo obiettivo. Lo stesso era riuscito nella legislatura 2015-2019, ma in questo primo anno dopo le urne non si vede la medesima capacità di incidere di allora. Sarà la stanchezza, sarà l’esasperato «dipartimentalismo», sarà quel che sarà, il fatto è che a un anno dalle elezioni del 2023 c’è già chi pensa all’appuntamento del 2027. Una politica forte e determinata è in grado di superare tempeste, presunte tempeste e magari anche possibili architetture politico-partitiche che prendono lo spunto da fatti realmente accaduti ma non sufficientemente chiariti.

Tutto questo genera un clima di diffidenza nei confronti della politica e dei suoi attori protagonisti. Se chi è chiamato a fare politica abdica dal suo ruolo, è naturale che ad avere la meglio siano questioni (guai chiamarli «casi») rimaste avvolte nella nebbia o forse da qualche fumogeno. Fenomeni naturali o artificiali che sono tuttavia di passaggio. Prima o poi il cielo torna chiaro. Sta di fatto che quando l’incertezza regna sovrana, non è mai una situazione ideale. Intanto, sempre nell’ambito della constatazione dei fatti, e nulla di più, sul finire della scorsa settimana il Ministero pubblico ha fatto sapere che è salito a tre il numero degli agenti della polizia su cui si indaga per l’incidente di quella notte di novembre in Leventina, mentre sul consigliere di Stato Norman Gobbi è stato comunicato che «nei suoi confronti non emergono indizi di reato». Un compassato comunicato, come si addice a chi guida la Giustizia, al quale ne è seguito uno dallo stile ben diverso: «La Lega dei ticinesi attende con fiducia che la «shistorm» scatenata sul nulla si rovesci ora sui suoi autori». Peccato che all’anonimo estensore, accecato da chissà quale sentimento, sia sfuggito che lo stesso Gobbi risulta essere ancora il coordinatore ad interim della Lega. E veniamo al fatto più grave di quei giorni denunciato dal presidente del Centro Fiorenzo Dadò al quale è stata recapitata «una lettera contenente un proiettile e minacce molto pesanti». Tutto questo ci porta a dire che siamo in presenza di un clima deteriorato e che non si possono sottovalutare questioni di tale gravità che richiamano ad un linguaggio malavitoso che non deve e non può avere legittimità alcuna. È semplicemente inaccettabile. C’è chi si attendeva da parte del mondo politico e dai partiti una chiara presa di distanza e di solidarietà per Dadò. Sulla presa di distanza possiamo sostanzialmente convenire, mentre la solidarietà per qualcosa di tanto intimo e dirompente, che va a colpire il Dadò cittadino uomo (e non il politico) la sola reazione che ha un reale valore è quella di rivolgersi di persona e in privato a chi certamente è rimasto colpito. Senza farne una questione di bandiera o di corsa per arrivare primo, perché il rischio è sempre lo stesso: scivolare su una buccia di banana infarcendo indignate dichiarazioni di tante belle parole e altrettanta ipocrisia.