La politica ora ci dica che Posta vuole

Che la Posta svizzera stia attraversando un difficile periodo di transizione lo si poteva intuire dal numero di articoli critici apparsi negli ultimi anni, anche su queste colonne, sulle scelte a volte discutibili del suo CEO Roberto Cirillo. Il quale, in ottemperanza ai mandati del Consiglio federale, ha privilegiato più i dividendi che il ruolo di servizio pubblico dell’azienda da lui guidata. Non è un mistero. Lo scorso aprile, da noi intervistato, Cirillo dichiarò che «una candela rende più della consegna di una lettera» e suggerì tra le righe che 7,2 miliardi di franchi di ricavi era un dato indiscutibile, che avrebbe dovuto convincere anche i clienti della Posta più perplessi (o insoddisfatti).
In altre parole, il focus del Gigante giallo era sui numeri e non sul servizio. Ci permettemmo di sottolineare i punti deboli e gli effetti collaterali di questa impostazione in successivi commenti, ma senza grandi risultati. Ieri Cirillo ha dato le dimissioni, a sorpresa. Nonostante la nota inviata ai media e firmata da Christian Levrat, presidente del Consiglio di amministrazione, le ragioni di questo addio restano oscure. Il CdA della Posta, nel comunicato, si rammarica della decisione del proprio CEO e traccia un quadro lusinghiero della sua eredità: Cirillo lascia un gruppo forte che ha visto «lo sviluppo della rete di filiali con investimenti per oltre 100 milioni di franchi, lo sviluppo di servizi digitali e ibridi per tutte le generazioni, una logistica moderna e all’avanguardia e soluzioni di mobilità sostenibili».
Eppure, nonostante gli investimenti, chiunque tra i residenti può toccare con mano come le filiali della Posta, anche nel nostro cantone, siano scese considerevolmente di numero. L’anno scorso, è stata annunciata l’intenzione di chiudere circa una filiale su cinque entro il 2028. Tra quattro anni, ci saranno 600 filiali gestite in proprio e 1.400 in partenariato. Un servizio, dunque, sempre meno rivolto «a tutte le generazioni» e che ha creato e creerà problemi soprattutto alle persone anziane. Riguardo la logistica «all’avanguardia», su di essa parlano da sole le non poche lettere che abbiamo ricevuto dai nostri abbonati, i quali lamentano da un anno a questa parte come i tempi di consegna del Corriere del Ticino si siano dilatati fino ad arrivare a un giornale consegnato nella buca delle lettere più tardi, se non molto più tardi del dovuto. Devitalizzando così il giornalismo cartaceo, che con i suoi approfondimenti e la sua verifica delle notizie resta, lo si voglia o no, un presidio per il momento insostituibile della democrazia elvetica. Su questo servizio tutt’altro che «di avanguardia» della Posta sollecitammo l’anno scorso una presa di posizione, se non proprio un’autocritica, da parte di Cirillo, il quale, dal canto suo, rincarò la dose: secondo lui il limite delle 12.30 per la consegna dei quotidiani doveva cadere.
Tutto questo, compreso altri punti deboli di una Posta sempre più focalizzata sui numeri e non sul servizio, ora non è più un problema di Cirillo, che resterà in azienda solo fino a fine marzo di quest’anno. Il processo di successione è già stato avviato, con il responsabile Finanze Alex Glanzmann che guiderà il gruppo ad interim in attesa del nuovo direttore generale. Dalla nota emessa dal CdA, sappiamo ad ogni modo che «la strategia per il periodo 2025-2028 si basa sulla precedente e si trova già in fase di attuazione» e che Cirillo lascia «una Direzione del gruppo forte che porterà avanti la trasformazione avviata».
Se le cose stanno così, urgono due riflessioni. Al netto di ambizioni personali o di specifiche situazioni private di Cirillo, che ha solo 53 anni e che ha scritto di voler ricaricare le batterie, le dimissioni a ciel sereno di un CEO sono un segnale da non sottovalutare anche per una realtà solida come la Posta. Diciamolo chiaramente: negli ultimi anni la Posta non ha goduto di una fama all’altezza della sua storia. Se così fosse, ed è la seconda e più importante riflessione, la politica dovrebbe cogliere l’occasione delle dimissioni di Cirillo per fare un punto di verifica sul ruolo, presente e futuro, di un Gigante giallo che non riesce più ad assolvere il suo compito di servizio pubblico completo e veramente per tutti. Il CEO dimissionario non è stato solo un abile esecutore (per quanto interessato) dei mandati del Governo ma si è rivelato un manager diretto e deciso in un’azienda che è anche, ça va sans dire, una vera e propria istituzione. Al di là degli avvicendamenti al vertice, la politica deve però ora dire che Posta vuole.