L'addio alle FM, un'inutile forzatura

La rinuncia, decisa dal Parlamento, a disattivare la radiodiffusione in FM è sicuramente un’ottima notizia per il folto pubblico delle radio private svizzere e per le stesse emittenti. Ma è anche una vicenda da cui tutti dovremmo imparare qualcosa per il futuro. Vogliamo dirlo subito? C’è stata troppa fretta, e troppa ideologia, nel voler smantellare una tecnologia e nel volerne promuovere, se non imporre, un’altra. Per capirci meglio facciamo l’esempio della SSR, che dalla fine del 2024 non trasmette più in analogico, una decisione presa con l’ambizione di fare da apripista al resto del settore. Il crollo degli ascoltatori (-27% in Ticino, -23% in Romandia e -18% in Svizzera tedesca) e la loro migrazione verso le radio private che ancora trasmettono in FM ci raccontano di un pubblico non così predisposto come si pensava (eufemismo) al cambiamento verso lo streaming su Internet e lo standard DAB+. Proprio in base a questi dati, il Parlamento ha deciso, l’altro ieri, che le antenne FM non saranno appunto disattivate entro fine 2026, come stabilito in precedenza. È plausibile che resteranno operative per almeno altri dieci anni. La SSR si trova adesso sola in mezzo al guado, senza una buona fetta di ascoltatori e per giunta in un momento delicato nella sua storia: la votazione dell’8 marzo prossimo sul canone è praticamente dietro l’angolo e ogni strumento per comunicare con i cittadini che andranno a votare sarebbe prezioso, specialmente in questo caso in cui la radiotelevisione elvetica è di fronte a una prova del fuoco senza precedenti. Invece la SSR, non si sa quanto consapevolmente, ha praticamente tagliato il ramo su cui era comodamente seduta. Ora tornare indietro è impervio: non è così immediato, innanzitutto, né economico, riottenere una concessione FM una volta che la si è restituita. E anche se lo fosse, non avrebbe più il valore strategico di un tempo, senza contare che il servizio pubblico si troverebbe a investire (o meglio, a spendere tanti soldi) per attivare un sistema analogico che verrà comunque smantellato. Un vero paradosso. All’interno della grande sfida sul canone, questa piccola tempesta perfetta è per la SSR un colpo non da poco. La vicenda illustra molto bene come, anche davanti alle nuove e seducenti tecnologie, le decisioni politiche dovrebbero essere sempre prese all’insegna del più prosaico realismo e con grande cautela verso i cittadini e la loro libertà, anche di consumi.
Altro esempio. In Svizzera circolano 4,8 milioni di veicoli, su almeno 1,7 milioni sono ancora presenti radio FM: ça va sans dire che non tutti i proprietari sono disposti a cambiare automobile solo per ascoltare la loro radio preferita trasmessa in DAB+. Eppure a fine 2026, se il Parlamento non avesse deciso altrimenti, si sarebbero trovati davanti a questo dilemma. Gran parte di loro, ne siamo sicuri, si sarebbero tenuti la propria automobile, magari rifugiandosi, nelle zone di confine, nelle radio straniere ancora in FM. Dando un’ulteriore batosta economica alle nostre. Non si scherza col fuoco. Non ci sono, non ci devono essere, tappe forzate. Lo Stato non deve né imporre né guidare l’adozione di nuove tecnologie, né per quanto riguarda le radio né in altri settori. È solo il mercato che, piano piano, se queste tecnologie sono valide, le adotta volontariamente, fino a dimenticare le «vecchie». Come, d’altronde, è sempre accaduto. Negli ultimi anni, invece, stiamo assistendo a svariati tentativi da parte dei Governi di condizionare il naturale corso dei consumi. Si veda, in UE, l’imposizione ideologica ai cittadini, dall’alto, di tutta la filiera del green: è finita con gravi danni all’industria tradizionale dell’automotive, con marchi che agonizzano e che non vedrebbero l’ora di tornare al passato, terrorizzati dai troppi interrogativi sul mercato del futuro. È una strada (in salita) piena di tornanti, che anche Berna ha imboccato salvo poi ingranare la retromarcia in quello che è stato un doveroso quanto clamoroso dietrofront.

