L'editoriale

L'attacco contro un Paese virtuoso

La Svizzera è ora chiamata a salvaguardare la sua immagine e la sua reputazione nei modi che riterrà più opportuni, ça va sans dire
Paride Pelli
10.04.2024 06:00

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato ragione all’associazione che accusa la Confederazione di violazione dei diritti umani in ambito ambientale. Le «Anziane per il clima» – questo il nome dell’associazione, pendant di quella «ultima generazione» di imbrattatori di opera d’arte e ostruzionisti di autostrade contro l’immobilismo di governi, ma solo di quelli occidentali – hanno quindi vinto la loro battaglia: ad oggi, secondo i 17 giudici della Grande Camera la Confederazione ha violato l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ovvero il dovere di rispettare la vita privata e familiare. L’accusa, ritenuta fondata dai giudici, è di non aver preso sufficienti misure per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Una sentenza a suo modo storica, con molteplici aspetti che dovranno essere tuttavia chiariti. Ad esempio, non è stato considerato il fattore dell’inquinamento diretto. Questa «svista» è significativa, dal momento che la Svizzera pesa meno dell’1% delle emissioni globali di CO2, la classica goccia in mezzo al mare. I giudici, però, hanno preferito considerare altri parametri per sfornare una sentenza di definitiva colpevolezza lunga 7 pagine. La Corte ha rilevato in particolare la mancanza di un «bilancio del carbonio» da parte elvetica, quindi l’incapacità delle nostre autorità di quantificare i limiti nazionali applicabili alle emissioni di gas serra. Se non fosse una sentenza che farà giocoforza giurisprudenza, verrebbe quasi da sorridere, se non addirittura da sbellicarsi delle risate: non stiamo parlando di uno dei Paesi inquinanti per definizione, ma della verde Svizzera, che in più occasioni si è chinata sul tema e che grazie alla propria democrazia semidiretta ha permesso a tutti i cittadini di avere l’ultima parola, sia in materia di energia sia, proprio, per ciò che riguarda le emissioni di CO2. 

È la Svizzera dell’Iniziativa delle Alpi, dei crediti a favore delle rinnovabili e di molti altri percorsi virtuosi di medio e lungo termine intrapresi – sia detto senza vanto – in un circostante mondo che in tanti casi, al green, si limita a fare l’occhiolino. Sicuramente la bocciatura della legge sul CO2 di tre anni or sono – con la normativa che aveva come obiettivo il dimezzamento, entro il 2030, dei gas a effetto serra emessi dalla Svizzera rispetto al 1990, per rispettare gli impegni presi firmando l’Accordo di Parigi sul clima – ha rallentato il processo di riduzione delle emissioni. O meglio, gli ha assegnato ritmi più umani, sia per quanto riguarda i cittadini comuni sia per il mondo dell’industria e dell’economia generale. Quella bocciatura alle urne ha innegabilmente reso la strada elvetica verso la neutralità climatica un po’ più lunga, ma bisogna ammettere, a posteriori, che si trattava di un passo probabilmente troppo lungo e rischioso, se non controproducente, sul genere «l’operazione è riuscita ma il paziente è morto».

Ed è altresì vero che la Svizzera si è rimboccata le maniche per mettere a punto un piano alternativo di politica climatica, concretizzatosi con il «sì» alla Legge sul clima. Tra i punti fermi, il divieto di combustibili fossili a partire dal 2050. Con il 59,1 % di voti favorevoli, la Svizzera è stato di fatto il primo Paese a decidere di prendersi le proprie responsabilità in materia di clima. E gli altri? L’Italia, per fare un esempio vicino a noi, è una delle nazioni europee sprovviste di una legge sul clima, sebbene le associazioni ambientaliste la chiedano da anni. Per non andare poi più lontano, ma soprattutto per non infierire, è meglio tacere dell’apporto di Cina e India all’inquinamento globale. Due Paesi che nell’ultimo anno, senza pensarci due volte, hanno aumentato il proprio consumo di carbone.

Ma allora come si spiega la decisione di ieri della Corte europea? È piuttosto semplice. La sentenza di colpevolezza indirizzata a uno dei Paesi più virtuosi del continente ha il sapore amaro dell’ideologia. Per il clima si può e si deve fare sempre di più, lo abbiamo detto e lo ribadiamo con forza. Le clamorose quanto deprecabili azioni degli ecoattivisti hanno instillato negli animi di non poche persone la sensazione che non vi sia più tempo, che l’apocalisse è vicina, che l’allarme, questa volta, è definitivo: o lo si ascolta o si muore. Osiamo dire che non è così, che bisogna essere responsabili, cioè rispondere alle generazioni future, senza bastonare le attuali e senza generare conflitti, ma con continuità di percorsi e di proposte. La Svizzera è ora chiamata a salvaguardare la sua immagine e la sua reputazione nei modi che riterrà più opportuni, ça va sans dire.