L'editoriale

Neutralità svizzera fra mito e realtà

È giusto che il nostro Paese si batta per le sue prerogative e la sua sovranità ma senza perdere il senso della realtà e del proprio peso specifico nel consesso mondiale
Nicola Bottani
Nicola Bottani
30.04.2022 06:00

Ne abbiamo sentite e lette di tutti i tipi, quando il Consiglio federale ha deciso di applicare le sanzioni contro la Russia dopo che il suo presidente Vladimir Putin ha scatenato la guerra contro l’Ucraina. Per taluni è stata una scelta giusta e giustificata, mentre per altri le decisioni prese dal Governo avrebbero minato l’essenza della nostra neutralità, quella neutralità che fra l’altro avrebbe permesso alla Svizzera di salvarsi dall’immane tragedia della Seconda guerra mondiale, pur essendo circondata dal Terzo Reich nazista e dall’Italia fascista sua alleata.

Di Confederazione, neutralità e sanzioni ci parla lo storico Sacha Zala nel CorrierePiù. Il direttore di Documenti diplomatici svizzeri, istituto e gruppo di ricerca che fa parte dell’Accademia svizzera di scienze umane e sociali, con la forza della conoscenza delle vicende storiche – e comprovate – relativizza di fatto molte delle tesi di cui abbiamo sentito e letto negli ultimi due mesi. Compresa quella secondo cui il nostro Paese si è salvato durante il secondo conflitto mondiale perché era neutrale. «Per la Svizzera – ricorda Zala – fu molto più determinante la politica commerciale in favore delle Potenze dell’Asse, ad esempio con un credito di un miliardo concesso alla Germania per rifornirsi di armi e di materiale svizzero».

Per inquadrare perché il Consiglio federale abbia seguito la comunità internazionale sulla via delle sanzioni contro la Russia rea di aver aggredito militarmente l’Ucraina, occorre prima di tutto ricordare che questa non è per nulla una politica nuova ed è anzi consolidata da una trentina d’anni. Anche e soprattutto perché «credere di non far parte di questo mondo è naïf, come è da ingenui credere che la neutralità sia una sorta di magico scudo spaziale che ci permette di fare quel che vogliamo senza tener conto degli interessi e del potere degli altri», per dirla ancora con parole di Sacha Zala. D’altronde, nel Rapporto sulla neutralità del 1993, pubblicato dal Consiglio federale di allora, si legge che «gli interessi svizzeri possono essere tutelati soltanto adottando un atteggiamento di disponibilità ad assumere corresponsabilità internazionale».

Il concetto è chiaro: la Svizzera non è un’isola e il Consiglio federale deve quindi trovare un equilibrio tra le regole e la volontà della comunità internazionale e i nostri interessi, altrimenti anche noi rischieremmo di pagare un prezzo molto alto. Come fecero capire gli Stati Uniti al nostro Governo già all’inizio degli anni Cinquanta del Novecento. In piena Guerra fredda gli USA pretesero e ottennero che la Svizzera non commerciasse più in beni e merci considerati strategici con i Paesi del blocco comunista; in caso contrario sarebbe stata colpita dalle stesse sanzioni decretate contro l’Unione Sovietica e le nazioni che si trovavano nella sua orbita. In anni più vicini a noi, pressioni sono state fatte sulla Svizzera a proposito dei beni ebraici giacenti nel nostro Paese dopo il secondo conflitto mondiale, una questione divenuta ineludibile e che siamo stati chiamati a risolvere puntando sulla mediazione.

È quindi giusto che la Svizzera si batta per le sue prerogative e la sua sovranità, per esempio nei rapporti con l’UE, ma senza perdere il senso della realtà e del proprio peso specifico nel consesso mondiale.

Non sono mancati, negli anni appena trascorsi, gli improvvisati specialisti di virus e pandemie, che dalla sera alla mattina lo sono poi diventati di guerre, rapporti e diatribe internazionali, neutralità e sanzioni. Quella del direttore di Documenti diplomatici svizzeriè dunque una bella e solida lezione di storia che ci permette di inquadrare il tema della Svizzera fra neutralità e sanzioni non solo nella giusta prospettiva storica, ma anche politica.