L'editoriale

Sugli aerei si dovrebbe tirare dritto

Si tornerà davvero alle urne sugli aerei da combattimento ora che sono state depositate 120 mila firme contro l’acquisto degli F-35?
Giovanni Galli
17.08.2022 06:00

Si tornerà davvero alle urne sugli aerei da combattimento ora che sono state depositate 120 mila firme contro l’acquisto degli F-35? I promotori dell’iniziativa, oltre a rimettere in discussione la decisione popolare del 2020 pretendono una procedura d’urgenza affinché si voti nel mese di marzo dell’anno prossimo. Per ora, hanno di fronte un muro. Il Consiglio degli Stati e la Commissione della politica di sicurezza del Nazionale hanno già dato via libera al Governo per firmare il contratto d’acquisto con gli Stati Uniti, una volta ottenuta luce verde dal Parlamento. La responsabile della Difesa Viola Amherd aveva già messo in chiaro, prima dell’estate, che avrebbe sottoscritto l’accordo senza indugi non appena le Camere avessero confermato la proposta del Consiglio federale in favore del caccia americano. In marzo, scadono i termini concordati da tempo con i produttori. Berna vuole chiudere in anticipto il dossier per evitare un rincaro e ritardi nei tempi di consegna pianificati, visto che nel frattempo anche altri Paesi (come Finlandia e Germania) hanno scelto l’F-35. Dal punto di vista legale, non c’è nulla da eccepire: gli avversari dei nuovi aerei stanno esercitando un loro diritto. Da quello politico, però, l’iniziativa è una forzatura, sia perché sugli aerei il popolo si è già espresso sia perché essa funge da referendum camuffato contro una decisione di merito non contestabile alle urne. E la pretesa di accelerare la procedura per votare entro marzo, bruciando letteralmente le tappe, è una forzatura nella forzatura, che cade oltretutto in un momento delicato per la politica di sicurezza. Il ritorno di un conflitto convenzionale sul suolo europeo con l’attacco russo all’Ucraina ha reso ancora più evidente l’esigenza di rinnovare la flotta degli F/A-18, che sta giungendo al termine del suo ciclo di vita. I «patti» erano chiari. Con il sì (seppure risicato) del mese di settembre di due anni fa, i votanti avevano approvato il principio di spendere 6 miliardi di franchi per il rinnovo della flotta, lasciando al Governo e al Parlamento la facoltà di scegliere il tipo di aereo. Si sapeva che i candidati erano quattro, due americani e due europei. Chi non voleva nuovi aerei tout court, o solo quelli americani, ha già avuto la possibilità di dire no. Il processo di selezione è stato lungo e articolato, ed è culminato nella scelta di un velivolo risultato migliore della concorrenza sotto l’aspetto militare, tecnologico e finanziario. Il Consiglio federale è stato coerente. Anche l’esame parlamentare, che non si è ancora concluso, non sta lasciando nulla al caso. Prima di prendere definitivamente posizione, in vista della sessione di settembre, la commissione del Nazionale analizzerà i rapporti del Controllo federale delle finanze e della Commissione della gestione, che hanno esaminato la procedura di valutazione e la gestione dei rischi. Teoricamente, procedendo a tappe forzate e contro la consuetudine (sette mesi invece che un paio d’anni prima di giungere alle urne), un voto sull’iniziativa in marzo è possibile. Ma il Governo dovrebbe tirare dritto, anche perché fare un’eccezione potrebbe costituire un precedente pericoloso. Ha ragione chi dice che per funzionare, la democrazia diretta ha bisogno di regole del gioco chiare. L’istituto dell’iniziativa popolare è stato concepito per dare ai cittadini la facoltà di modificare la Costituzione. Se, complice la concessione di corsie preferenziali, viene impiegato per operazioni di ostruzionismo e per ribaltare l’attuazione di decisioni popolari sgradite, l’esercizio di un diritto diventa un abuso e rischia di produrre un cortocircuito. Oggi tocca agli aerei; un domani potrebbe toccare ad altri progetti a cui sono sensibili gli ambienti di sinistra promotori dell’iniziativa. Invece di seguire il loro corso, certi processi decisionali su temi sensibili potrebbero essere condizionati da blocchi, minacce e rinvii. Bisognerebbe evitare di aprire una breccia.