Trovare un modus vivendi con i forti

Quando si dice le coincidenze: nel giorno in cui ha approvato il progetto di mandato negoziale per un accordo commerciale con gli Stati Uniti, il Consiglio federale ha anche presentato i risultati della consultazione sul pacchetto di accordi con l’UE. Tra i due temi non c’è un filo diretto, ma esiste una grossa affinità. Pur con tutte le differenze del caso, nei contenuti e soprattutto nei modi, in entrambe le situazioni la Svizzera ha a che fare con partner molto più grossi e potenti che vogliono dettare le loro condizioni. E con i quali, volente o nolente, deve trovare un modus vivendi, cercando di limitare i danni in termini di sovranità e di tutelarsi da reazioni più o meno ostili. Emblematiche sono le posizioni diametralmente opposte dei due partiti più grossi. Da un lato l’UDC, che ha approfittato dello sdoganamento ufficiale da parte del Governo del termine «Bilaterali III» per denunciare quello che ai suoi occhi rimane, né più né meno, «un accordo di sottomissione». Dall’altro il PS, che in relazione alla possibile futura intesa commerciale con Washington, ha esortato il Consiglio federale a non sacrificare la sovranità solo per ingraziarsi gli Stati Uniti di Donald Trump. Ricordando il sondaggio pubblicato negli scorsi giorni dal «Blick», secondo cui il 70% degli svizzeri definisce quello con gli USA un trattato di sottomissione, il PS dice che a Berna si dovrebbero prendere sul serio i segnali dell’opinione pubblica. Tra le reazioni speculari provenienti da destra e sinistra, la prima per mettere in cattiva luce l’Unione europea, la seconda gli Stati Uniti (in chiave pro UE), c’è un Consiglio federale che si barcamena per continuare a giocare sui due tavoli.
La ricerca di un accordo con gli USA presenta un coefficiente di difficoltà molto elevato, sia perché la dichiarazione d’intenti firmata a Washington lascia aperti molti interrogativi (dall’impegno a equilibrare la bilancia commerciale agli investimenti miliardari promessi dai privati), sia perché, come si è visto negli ultimi mesi, bisogna sempre mettere in conto l’imprevedibilità della Casa Bianca. Finora Berna ha saputo reagire con pragmatismo e convincere Trump ad accettare una riduzione dei dazi che potrebbe diventare effettiva nei prossimi giorni. Ma sa che non può superare certi limiti, visto che l’ultima parola sull’accordo potrebbe averla il popolo. Il mandato, del resto, è chiaro e impone equilibrio. Il risultato dei negoziati dovrà rispettare gli obblighi costituzionali e internazionali della Svizzera, in particolare gli accordi bilaterali esistenti con l’UE e il nuovo pacchetto, che in primavera sarà sottoposto al Parlamento.
Nel caso dell’intesa con Bruxelles, nonostante il responso positivo della consultazione c’è ancora parecchio da fare. Il Consiglio federale cercherà di smussare gli angoli e di aggiustare alcuni punti; come ad esempio nel caso del coinvolgimento del Parlamento e dei Cantoni nel recepimento del diritto europeo, uno degli aspetti più controversi; o dell’attuazione della clausola di salvaguardia per l’immigrazione, considerata dal Governo uno strumento per limitare gli effetti negativi della libera circolazione e dagli avversari degli accordi una misura inattuabile. Il Consiglio federale tiene anche a conservare l’appoggio dei sindacati, visto che l’USS ha garantito il suo sostegno al pacchetto solo se saranno mantenute tutte le misure concordate dai partner sociali. Per questo ha detto che si impegnerà a portare avanti nuovi colloqui fra i rappresentanti del mondo del lavoro e gli ambienti economici, che non vogliono inserire tutele, ai loro occhi estranee alla questione della protezione dei salari. Anche nell’accordo sull’elettricità, sebbene separato dal corpus principale, ci sono diversi nodi da sciogliere.
È difficile, comunque, che tutte queste possibili correzioni possano da sole costituire una svolta. Il punto centrale sarà spiegare ai cittadini perché questo pacchetto di accordi serve e se il prezzo che comporta, sotto forma di perdita di sovranità e di una maggiore integrazione nel meccanismo regolatorio europeo, vale le nuove condizioni di accesso al mercato unico e la «stabilizzazione» dei rapporti con Bruxelles. Da qui al voto popolare (si parla del 2028) passerà ancora parecchia acqua sotto i ponti. Soprattutto nell’UE possono succedere molte cose. La strada è quindi ancora ostica e carica di incognite.

