Un duro confronto sul tavolo dell'AVS

L’AVS esiste dal 1948, quando vennero versate le prime rendite. Tuttavia, la posa della prima pietra risale esattamente a cento anni fa. Nel mese di dicembre del 1925, gli elettori approvarono un articolo costituzionale per la creazione di un’assicurazione per la vecchiaia e per i superstiti. Oggi i beneficiari di questo pilastro della sicurezza sociale sono 2,5 milioni. Fra cambiamenti politici, economici e demografici, che richiedono continui adattamenti, l’AVS resta un cantiere aperto. Sul tavolo ci sono grossi nodi da sciogliere. Tra un anno sarà versata per la prima volta la 13. mensilità (approvata alle urne nel mese di marzo del 2024), ma oggi non si sa ancora come sarà finanziata questa nuova prestazione, che inizialmente costerà 4,2 miliardi di franchi. Alle Camere è in discussione la richiesta del Governo di aumentare l’IVA di 0,7 punti, dall’attuale 8,1% all’8,8% (l’ultima parola spetterebbe comunque al popolo). Il Nazionale ha detto sì a un aumento transitorio, in attesa che nel 2030 entri in vigore una soluzione durevole e strutturale per la stabilizzazione del primo pilastro. Ma la situazione è incerta perché i partiti sono divisi e un accordo non sembra dietro l’angolo. Il Consiglio degli Stati dice di volere una soluzione «equilibrata e sostenibile» e ha incaricato l’Amministrazione di fornire informazioni supplementari sulle conseguenze del progetto. Prima, dice, andrebbero valutate le conseguenze economiche e fiscali della soluzione approvata dall’altra Camera, come pure le ripercussioni sull’AVS in caso di un rifiuto alle urne dell’aumento provvisorio. Se ne dovrebbe sapere di più in marzo. Il Governo, intanto, fa pressione sul Parlamento. La consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, in un contributo apparso sulla NZZ, ha auspicato la fine della situazione di stallo e una soluzione senza indugi sul finanziamento, in uno spirito di compromesso. L’alternativa è ricorrere temporaneamente al capitale del Fondo di compensazione (il portafoglio dell’AVS). Più tardi si reagisce - ha ammonito la «ministra» della socialità - più questo fondo finirà per erodersi e più diventerà oneroso finanziare il primo pilastro. Qui il discorso si complica perché si intreccia con quello della prossima riforma, che dovrebbe entrare in vigore nel 2030 allo scopo di stabilizzare l’AVS per il decennio successivo. Le linee direttrici sono state illustrate in novembre e un avamprogetto sarà presentato in primavera. Il Consiglio federale ha detto che se il Parlamento opterà per un finanziamento duraturo della tredicesima (+0,7 punti di IVA) non si renderanno necessari prelievi supplementari (ci sarebbero comunque nuove misure per aumentare i contributi di 700 milioni). Sempre che, ben inteso, venga respinta l’iniziativa del Centro per eliminare il tetto massimo delle rendite AVS per i coniugi, il cui costo sarebbe di almeno 4 miliardi di franchi. Ma le cose non sono così semplici. Anche la riforma prossima ventura è destinata a incontrare forti resistenze. Per almeno due ragioni. La prima, appunto, per le soluzioni proposte in tema di finanziamento. Per il mondo economico e il PLR, ad esempio, non si può prescindere da un aumento dell’età pensionabile. A loro avviso, servono misure strutturali e non ci si deve limitare ai soliti rimedi, attraverso aumenti dell’onere fiscale e del costo del lavoro, che penalizzano la competitività delle imprese e la popolazione attiva. Baume-Schneider ha invece definito «irrealistico» un qualsiasi aumento dell’età pensionabile dopo il secco no popolare all’iniziativa che prevedeva un automatismo fra aumento della speranza di vita e pensionamento. Il Consiglio federale, seppur a maggioranza borghese, non ritiene politicamente fattibile né utile adeguare il limite di età.
La seconda ragione delle resistenze al piano del Governo è la proposta di intervenire sul pensionamento anticipato, armonizzando a 63 anni l’età minima per ottenere le prestazioni del secondo (oggi 58 anni) e terzo pilastro (60 anni) con quella dell’AVS. Lo scopo di questa misura (che non si dovrebbe applicare in caso di licenziamento) è di incitare le persone a lavorare più a lungo. Sono già piovute varie critiche; un provvedimento del genere è fuori contesto, penalizza la classe media, rappresenta un attacco alla libertà dei cittadini (oggi una persona su cinque lascia la vita attiva prima dei 63 anni) ed è lo strumento sbagliato per risolvere il problema della carenza di manodopera qualificata; piuttosto, si obietta, servono incentivi seri per chi vuole lavorare dopo i 65 anni. In generale, quindi, la strada della riforma è lastricata di ostacoli. Fra chi invoca pragmatismo in nome della fattibilità e chi misure più incisive in nome di una vera stabilizzazione del primo pilastro si prospetta un duro confronto.

