L'editoriale

Un passo indietro in attesa della Procura

L'incidente più chiacchierato, il ruolo pubblico di Norman Gobbi, l'imbarazzo del Governo e la celerità della Giustizia
Gianni Righinetti
27.03.2024 06:00

Dall’interpellanza del presidente del Centro Fiorenzo Dadò, alle ipotesi di reato al vaglio del procuratore generale Andrea Pagani. Il caso dell’incidente di quella notte in Leventina che ha coinvolto il consigliere di Stato e direttore del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi è così passato dal piano politico a quello giudiziario. Un fatto che potrebbe alimentare facili escalation con gli indici puntati. Per chiarezza e trasparenza va detto subito che la buona fede e soprattutto la presunzione d’innocenza sono tutt’ora un caposaldo intoccabile. Non si colpevolizza fino all’emanazione di una decisione definitiva. Vale per ogni cittadino e vale pure per un personaggio pubblico. Il tutto fa testo anche per lo sconosciuto agente della Polizia cantonale e contro gli ignoti su cui andrà vagliata l’ipotesi di abuso di autorità e favoreggiamento. Intanto quella notte è un enigma chiacchierato perché Gobbi è persona conosciuta e con una fitta rete di relazioni pubbliche che lo vedono esposto in una moltitudine di situazioni nel mondo reale e in quello virtuale. I fatti reali verranno descritti da chi parlerà e si esprimerà per primo, il Ministero pubblico. L’auspicio è che questa decisione giunga in tempi molto rapidi. Il procedimento, salutato con favore anche dal legale Renzo Galfetti che assiste Gobbi, non pare di una grande complessità: vanno ricostruiti i fatti, la tempistica e l’azione (o inazione) delle persone coinvolte. Anche di quelle che, loro malgrado, si sono trovate prima al telefono e poi faccia a faccia con colui che è a tutti gli effetti il loro capo politico. Non bello, non simpatico, non facile. A parole siamo tutti nettissimi nell’indicare la retta via della legge, ma va riconosciuto che la situazione è stata quantomeno singolare. Toccherà alla Giustizia valutare la presenza o l’assenza di margini per eventuali attenuanti o aggravanti su quanto ipotizzato.

Sull’intera vicenda però ora s’innestano numerose considerazioni d’ordine politico sul cosiddetto «caso Gobbi», innescato dal silenzio tombale del consigliere di Stato, quando invece avrebbe fatto meglio a parlare. Se non altro per restare fedele alla sua verve all’insegna del presenzialismo, anche sui social dove, minuto per minuto, ognuno può sapere dov’è, cosa fa e talvolta anche cosa mangia. Il paradosso è che su questa storia ad esprimersi per primo non sarà il Consiglio di Stato sulla base dell’interpellanza di Dadò, ma il procuratore generale. Quindi il 15 aprile, giorno in cui era attesa la risposta in Gran Consiglio, la politica non parlerà, a meno che entro quel termine Pagani abbia già emanato la sua decisione. Un sollievo per i quattro colleghi di Gobbi, quel Governo sul quale pesava come un macigno la responsabilità di esporsi rispondendo a domande molto circostanziate e rischiosamente sdrucciolevoli su fatti raccontati da terzi, senza poter avere documenti e testimonianze che li confermassero. E anche in questo senso, ben venga l’intervento del neutrale apparato giudiziario.

Ma la politica non è ovviamente rimasta in silenzio, sono piovute richieste più o meno drastiche a colui che, non dimentichiamolo, è di fatto il ministro della Giustizia e della Polizia. Non si tratta di essere giustizialisti, ma uno spontaneo passo indietro nella forma della provvisoria autosospensione da parte di Gobbi dalle sue responsabilità politiche farebbe un gran bene a tutti. Alle Istituzioni che lui rappresenta, al Governo che è destinato a giornate-settimane d’imbarazzo, alla credibilità della Polizia nei confronti dei cittadini e per sottolineare l’indipendenza della Giustizia. E, infine, anche se questi sono essenzialmente fatti leghisti, pensando al suo partito del quale, maldestramente si è fatto coordinatore, lasci quella sedia diventata ancora più ingombrante di quanto era negli scorsi mesi: per lui, per la Lega e per noi cittadini.