Falcone è stato ucciso, il suo killer è libero. Ma che giustizia è?

Anche come novantasettenne non posso far a meno di esprimere oltre alle mie lacrime, tutta la rabbia e disperazione nel leggere che un assassino di una ferocia inaudita di nome Brusca, oltre ad aver assassinato il Dr. Falcone e la sua scorta premendo dall’alto della montagna il grilletto che fece la strage di Capaci, inoltre fece dissolvere nell’acido un bambino! Ha espiato i suoi 26 anni di galera ed ora? è tornato libero! Libero di tramare altre vendette? No, mi rifiuto di credere che sia giustizia lasciar libero un mostro del genere.
Maria Tosi, Locarno
La risposta
Cara Maria Tosi, il senso della giustizia - e, forse, più ancora dell’ingiustizia - non ha età. Mi colpisce molto la sua capacità di indignazione. Di solito, varcata una certa soglia anagrafica, osservo due tipi di reazione ai fatti del mondo, tutte e due rispettabili: da un lato un salutare disinteresse zen, come di chi ne ha già viste tante, troppe forse, per lasciarsi invelenire dalle ultime brutture del mondo. Dall’altra, partendo da una lunga esperienza di vita, una lucida e impietosa denuncia delle storture a cui si assiste. Lei mi ricorda il compianto autore francese del best seller (uscito nel 2010) «Indignatevi», Stéphane Hessel, che a 93 anni aveva firmato un manifesto dei movimenti sociali degli indignati e di occupy. Sarà che era un ex partigiano, era stato torturato dalla Gestapo ed era sopravvissuto a Buchenwald, fatto sta che la sua autorevolezza esistenziale, basata sull’aver vissuto in prima persona le ingiustizie e le violazioni dei diritti dell’uomo, ha reso particolarmente efficace il suo appello. Che, ridotto all’osso, suona più o meno così: indignatevi, perché l’indignazione è il primo passo per un verso risveglio delle coscienze.
E qui veniamo all’oggetto della sua indignazione: la libertà concessa a quel Giovanni Brusca che, considerando anche solo i soprannomi che gli furono affibbiati - «u verru» (il porco, in siciliano), oppure lo scannacristiani - sembra ora dimostrare al mondo che puoi commettere le peggiori efferatezze e te la puoi cavare. Mi indigno anch’io, cara signora Tosi, lei ha ragione. Facile «pentirsi» quando non solo non ti ammazzano, come «meriteresti», ma ti lasciano andare. Il ragionamento è umanissimo, ma quando si è in lotta contro mali come la mafia occorre calmarsi, essere più razionali e meno emotivi. In mezzo all’amarezza condivisa da molte altre persone, a partire dai parenti delle sue vittime (almeno cento, per sua stessa ammissione), mi consola pensare che alla fine, l’arma del «pentitismo» ha ridotto al lumicino la forza di Cosa Nostra, spedendo in carcere i mandanti e non solo gli spietati esecutori. Il prezzo è stato alto, ma alla fine, complessivamente, la giustizia ci ha guadagnato. Perché il ricorso ai «pentiti» ha consentito «una chiave di lettura dall’interno della criminalità organizzata, aprendo importanti brecce nel muro dell’omertà». Non lo dico io, lo diceva Giovanni Falcone.
