La posta di carlo silini

È offensivo usare la parola «zingaro»?

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Campo nomadi al Segehezzone a Giubiasco. © Chiara Zocchetti
Carlo Silini
22.11.2021 06:00

Buongiorno, a mio avviso, e anche secondo molti studiosi di queste popolazioni, il termine zingaro è dispregiativo e andrebbe evitato. Immagino che lei non sia d’accordo, visto che l’ha adoperato nei suoi articoli apparsi lo scorso 2 ottobre. Ricordo però, che un paio di anni fa le comunità rom e sinti del nostro Paese avevano preso posizione sulla questione dicendo che non intendevano più tollerare la designazione «Zigeuner» (zingari) ancora molto diffusa nella Svizzera tedesca, giudicandola «diffamatoria» e «umiliante». Penso che dovremmo tenerne tutti conto. Mi piacerebbe conoscere le sue considerazioni al riguardo.

Michele Rauch, Canobbio

La risposta

Caro Michele Rauch, è vero: un paio d’anni fa le comunità rom e sinti del nostro Paese hanno comunicato di non voler più tollerare la designazione «Zigeuner» (zingari), giudicandola «diffamatoria» e «umiliante». Io l’ho usata perché appare anche nello studio più ampio sui nomadi nella Svizzera italiana, pubblicato da Armando Dadò nel 2019, e scritto dalla sociologa e mediatrice culturale Nadia Bizzini, che si occupa di gestire le relazioni tra la popolazione ticinese e i rom che transitano nella regione. Nel testo, Bizzini, non entra nella polemica linguistica, ma utilizza la parola «zingaro» come termine generico per indicare il mondo – in realtà assai differenziato al proprio interno – dei tre grandi gruppi dei «nomadi svizzeri», «nomadi stranieri» e dei «rom migranti». Naturalmente la studiosa non ignora la connotazione negativa della parola, ricordando come nel corso della storia le nostre autorità avessero inasprito le politiche di accoglienza «di chiunque non avesse un domicilio svizzero». Mendicanti, vagabondi, pagani, egiziani o finti egiziani che fossero cominciano ad essere nominati «Heimatlos» (che in tedesco significa «senza patria» e nel dialetto della Svizzera italiana viene storpiato in «matolsa») o «zingari». E citando lo studioso Huonker, osserva che «in Svizzera, il modo di vita non sedentario è il criterio essenziale per classificare una persona nella categoria “zingaro”». Diciamo, quindi, che uno studio scientifico su queste realtà è quasi costretto ad utilizzare il termine «zingaro». Di conseguenza, è molto difficile non utilizzarlo anche se si intervista una studiosa del fenomeno (la signora Bizzini, appunto), come ho fatto nell’articolo del 2 ottobre. È vero però, che dovendo avere a che fare con jenisch, sinti o rom, è assai più appropriato menzionarli con il nome della loro etnia o gruppo di appartenenza. Purtroppo, soprattutto negli anni nefasti delle teorie razziali, si è rafforzata l’idea che gli zingari fossero fannulloni, criminali e immorali. A causa della connotazione negativa che la parola ha assunto, si ritiene politicamente scorretto definirli ancora con questo termine. Mi resta però un dubbio: visto che le discriminazioni nei loro confronti sono legate al fatto che li percepiamo come «altri» da noi, non è che il pregiudizio si sposterà dalla parola zingari alle parole che designano la loro provenienza?