La posta di Carlo Silini

Il mistero del figlio che ha ucciso la propria madre

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Carlo Silini
12.09.2022 06:00

C’è una notizia atroce, perché ti prende dentro, ti sconvolge l’animo. E dice: Catania (Sicilia), un ragazzo quindicenne uccide a coltellate la madre 32.enne. Papà e nonno sono in prigione. La madre si deve essere confidata con il figlio: sono rimasta incinta a 17 anni, ti ho tirato su ed è giunto il momento di cambiare. E a questo momento la notizia viene completata: padre e nonno del quindicenne sono in prigione e il figlio ha agito perché succube di loro. C’è da domandarsi che futuro ha questo ragazzo. Forse andrà in mano a qualcuno che lo aiuterà a trovare un percorso di vita normale nonostante la gravità di quanto ha fatto e che dentro di lui non riuscirà mai a cancellare. Che ne pensa?

Giancarlo Maria Fontana, Viganello

La risposta

Caro Giancarlo Maria Fontana, quello che lei ci sottopone è un caso umano e sociale che lascia senza parole. È estremamente difficile trovare una spiegazione piana e logica per un delitto che inorridisce da molti punti di vista: l’età dei protagonisti (l’assassino di 15 anni e la vittima di 32), il loro legame di sangue (figlio e madre), le dinamiche malate che parrebbero essere esplose di colpo. La vicenda è sconvolgente anche a livello simbolico. L’uccisione della madre appare come un rovesciamento esistenziale inesplicabile: com’è possibile pensare di togliere la vita a chi te l’ha data? Anche la gestione degli affetti famigliari tra una mamma «libera» e un padre in prigione rappresenta una condizione psicologica estrema per un adolescente. Soprattutto se tra padre e madre le cose non vanno bene. Ma noi sappiamo troppo poco di questa storia per poterla giudicare compiutamente. Certo, è difficile sopprimere il sospetto che la libertà (in senso lato) della madre fosse vissuta come un tradimento dal padre in prigione. Se fosse vero si potrebbe ipotizzare una sorta di femminicidio per procura, una punizione esemplare per la donna che si allontana dal suo uomo chiuso in galera (che tra l’altro – leggendo le cronache – alzava le mani su di lei). Una punizione, operata, per giunta, dal sangue del suo sangue che sicuramente, in quanto madre, amava. La peggiore delle vendette sessiste immaginabili. Poi, magari anche lei ha commesso errori pacchiani col figlio. Solo che non potrà mai dirlo, visto che non c’è più. Tuttavia, siamo lontano dal luogo del delitto e sarebbe scorretto trarre conclusioni affrettate prima di sapere che cosa è esattamente successo, se c’è stato un mandante (il padre o il nonno), se è stata un’idea del figlio, o se dalle indagini o durante il processo spunteranno nuovi elementi che potrebbero cambiare completamente il quadro interpretativo. Al di là del contesto particolarmente complicato, da qualche parte questo ragazzo non ha potuto contare sull’appoggio o il consiglio di un adulto o di un ambiente capace di farlo ragionare. Non ho idea di quale futuro possa attenderlo, come minimo un mix di riformatorio e sedute psichiatriche. Mi auguro che anche per lui ci sia una «guarigione dell’anima», una vicinanza, magari un amore, che lo aiuti a uscire dall’inferno umano nel quale è precipitato.