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Non solo Julia: se il male di vivere oscura anche i giovani ticinesi

Bambini e adolescenti hanno paura di affrontare il futuro, si sentono soli. - Chi dovrebbe aiutarli: la scuola, la famiglia o le istituzioni? - SCRIVETECI! WHATSAPP 079 674 95 21 - [email protected]
Prisca Dindo
26.04.2023 06:00

La tragica morte di Julia Ituma, la pallavolista della Igor Novara che si è lanciata (secondo le ricostruzioni) dal sesto piano di un hotel di Istanbul dove si trovava con la sua squadra per disputare la semifinale di Champions League, ha lasciato tutti increduli. Questa ragazza di soli diciotto anni era una forza della natura. Una che sorrideva sempre e che aveva una grinta fuori dal comune, come raccontano le sue amiche. Eppure qualcosa dentro di lei si è spezzato e nessuno se ne è accorto. Ha chiuso gli occhi e si è lasciata cadere nel vuoto. Julia si sentiva sola, malgrado l’immenso amore dei familiari degli amici e delle compagne di squadra. La fragilità di una giovane che aveva il mondo davanti a sé, e che sgomenta. «Quante volte vi siete sentiti soli, quante volte avete avuto paura. Non bisogna vergognarsi di dire ho paura del buio, tutti noi ne abbiamo. Le paure vanno dette, si devono esprimere per poterle cacciare via. Ricordatelo«, aveva detto nel 2022 Papa Francesco. Invece molti giovani vivono la loro fragilità come uno stigma. Per quelli della mia generazione è difficile capire questo stato d’animo. I giovani di oggi hanno molto più di quanto avevamo a disposizione noi. Evidentemente ci sbagliamo. Basta guardare le cifre pubblicate da Pro Juventute.Nei primi sei mesi del 2022, la fondazione ha effettuato ben cento interventi di crisi. Quattro in più rispetto allo stesso periodo del 2020 e quaranta in più rispetto al 2019. Nel 2021 – si legge sul sito della fondazione svizzera - i minori ricoverati per tentato suicidio nei reparti di emergenza delle cliniche di Berna e Zurigo erano più del 50% dell’anno precedente. «Bambini e adolescenti hanno paura, non sanno ciò che il futuro ha in serbo per loro», spiega la direttrice Katja Schönenberger, secondo la quale gli adolescenti temono di non essere in grado di far fronte alle esigenze della vita quotidiana, di non riuscire a trovare un apprendistato. E soprattutto temono la solitudine. «Da più di due anni viviamo in una situazione di crisi praticamente ininterrotta – scrive la direttrice - Dapprima il coronavirus, poi la guerra con il costo della vita in aumento. Tutto ciò ha delle conseguenze. Sempre più bambini e giovani sviluppano paure. Il carico psicologico su di loro e sulle loro famiglie è aumentato notevolmente». Anche la magistrata dei minorenni nell’intervista raccolta di recente dal Corriere del Ticino ha suonato un campanello d’allarme. «Percepisco una certa fragilità nei giovani - spiega Fabiola Gnesa - Una fragilità spesso camuffata dietro a un apparente senso di onnipotenza, tipico della giovane età. La verità è che, nonostante sembrino così forti, molti soffrono in silenzio». Secondo la magistrata, la pandemia non c’entra. «Ha piuttosto accelerato il fenomeno, tuttavia penso che il problema di fondo risieda nella mancanza di punti di riferimento solidi e stabili. Nella società, nella famiglia, ma anche nelle istituzioni» ha concluso la nostra magistrata dei minorenni. Paolo Crepet, il noto psichiatra italiano, punta il dito contro i genitori. «Se tuo padre e tua madre non ti hanno mai detto un no da quando sei nato, il primo no che ti dice un esterno non lo accetti. L'educazione è una fatica che nessuno è più disposto a fare. Tutto è anticipato rispetto a ieri, oggi a 13 anni fai le cose che una volta si facevano a 18. Oggi giustifichiamo tutto e si consuma tutto troppo in fretta, anche la vita». Vi abbiamo chiesto se questa fragilità della generazione Z vi preoccupa e chi secondo voi dovrebbe intervenire. Di seguito le vostre risposte: 

La causa siamo noi

Ci occupiamo delle conseguenze è mai delle cause! Quante energie usiamo per aiutare al posto di usarle affinché non sia necessario doverlo fare? Questa è la domanda che dovremmo avere il coraggio farci. Perché se la società “evoluta e “ricca” genera un malessere così grande da spingere moltissimi giovani a preferire la morte alla vita, evidentemente qualcosa lo abbiamo sbagliato. Ora possiamo assumerci la responsabilità di quanto fatto e essere il cambiamento che vorremmo. Oppure continuare a “salvarci” l’anima pagano iniziative lodevoli che contengono le conseguenze del nostro agire, invece di correggerci.

 Andrea Genola

Ci devono pensare i genitori

Buona sera, sono mamma di una quasi quattordicenne. Ho 54 anni e la differenza d'età si avverte,  ma non è un ostacolo. Anzi. È forse un vantaggio per quanto riguarda l'esperienza maturata così da poterla trasmettere. E l'educazione non è un optional. Va trasmessa in famiglia. A scuola i ragazzi apprendono i concetti, le materie. Ma se l'educazione manca dalla famiglia  esternamente si può fare ben poco. È una sfida quotidiana ma va fatta. E non dimentichiamo che siamo stati adolescenti anche noi. Basta scaricare sempre sulle istituzioni. Son tempi difficili anche perché si sono demonizzati i vecchi sistemi, cercando solo il negativo. E  così siamo circondati da tanti specialisti ma poi i problemi restano. Manca il concetto di base che è il rispetto. In tutti i sensi e in tutte le direzioni.

Cinzia Montemurro

Contro il disagio ci vuole l’educazione emotiva

A proposito del disagio degli adolescenti, la famiglia non sempre è in grado di prevenirlo o contrastarlo purtroppo, ma la scuola ha l’obbligo di farlo. Lo stesso apprendimento ne gioverebbe. Ho la possibilità di raccontare un’interessante sperimentazione italiana del 2022 con l’Università Federico II di Napoli, l’Università de L’Aquila, l’Ateneo San Raffaele di Milano e la SIPNEI, tramite cui abbiamo potuto ottenere dei risultati straordinari circa le modificazioni neurobiologiche nel cervello degli alunni che hanno ricevuto un’educazione emotiva a scuola. Dopo più di venti anni di studi e ricerche, sappiamo che l’unico fattore protettivo e promotore di benessere è dare un educazione emozionale sin da piccolissimi.  Da qui l’idea di creare una Rete Nazionale di “Scuole dell’Empatia” certificate su tutto il territorio e da esportare anche all’estero. È stato, a tale scopo, firmato a febbraio un protocollo tra il Comune di Viterbo e per ora sette Istituti Comprensivi, i cui docenti, appositamente formati, faranno sì che queste Scuole si connotino per la presenza nei loro curricula della Didattica delle Emozioni, metodo appunto validato e sperimentato scientificamente. Questa dell’Educazione emotiva, ad oggi, anche per l’OMS risulta l’unica strada per prevenire ed affrontare il disagio dei bambini e dei ragazzi.

Il Dipartimento Formazione e Apprendimento della Supsi dedica un blog a questa particolare approccio educativo. Secondo i ricercatori della Scuola Universitaria Superiore della Svizzera italiana quando le abilità  emotive vengono considerate tra gli obiettivi educativi della scuola, agiscono anche da fattori protettivi di comportamenti a rischio per gli allievi, come il bullismo, l’abbandono scolastico, l’abuso di sostanze. Per chi ne volesse sapere di più: https://dfa-blog.supsi.ch/chiamalemozioni/educazione-socio-emotiva/

Fragilità dovuta all’incertezza del futuro

Ho letto l’articolo sul CdT con la citazione di Crepet e ho trovato quest’ultima sinceramente ripugnante. Scrivo da profana (in quanto economista di professione), ma mi sembra evidente e innegabile che i giovani siano in crisi per l’enorme incertezza alla quale vanno incontro. Troveranno un lavoro? Avranno sufficienti risorse a disposizione per creare una propria famiglia? Riusciranno a sfuggire dall’abisso della disoccupazione? Di fronte a queste gravi domande la famiglia non deve essere un luogo di severità, ma al contrario un luogo di accoglienza, un luogo sicuro dove si possa parlare di tutte le proprie preoccupazioni. Negli anni del dopoguerra il modello familiare era ancora quello della rigida obbedienza ai genitori e in quel particolare contesto probabilmente aiutava in effetti ad avere successo nella vita. Penso a mia nonna che, anche grazie alla disciplina ricevuta a casa vinse un concorso pubblico e ottenne dunque il lavoro che poté mantenere fino alla pensione. Ma oggi non è più così. Innanzitutto la cieca disciplina non è più (per fortuna) una caratteristica vincente sul mercato del lavoro. Inoltre, è possibile che anche persone molto dotate e motivate a causa della crisi economica duratura e profonda in cui siamo si vedano rivolgere dalla vita non uno, ma centinaia di “no”. Ecco che allora diventa importante, anche a casa, non accettare quel no dei genitori, ma imparare ad aggirarlo, a trovare altre soluzioni, a farlo diventare un sì.

Costanza Naguib

Forse qualche no in più….

Onestamente non so chi dovrebbe e nemmeno chi potrebbe aiutare questi ragazzi. La famiglia? Forse molti errori sono stati commessi lì. La scuola? La scuola è formativa non è educativa e non può fare molto. Le istituzioni? Non mi è molto chiaro come possono  intervenire , c’è il rischio che quanto potrebbero fare venga considerato come un’ingerenza dello Stato. Concordo abbastanza con Crepet, so che è difficile dire di no, ma spesso è necessario mettere dei paletti  anche alle richieste dei ragazzi. Quando i miei figli stavano per diventare genitori ho regalato loro una copia del libro “I no che aiutano a crescere” di Asha Phillips, psicoterapeuta infantile. Lo consiglio.

Bruna Bralla

Generazioni sganciate dalla realtà

Da madre di due bambini ancora pre adolescenti ed  anche per la professione svolta che mi ha portato molto spesso a confrontarmi con realtà familiari molto complesse, ho la mia umile teoria sul perché del senso di vuoto di molti  ragazzini. Credo che la loro realtà attuale è in parte alterata dalla tecnologia dei social e dal web. Sono sempre meno quelli interessati alla lettura, alla natura, ai giochi ed alle relazioni vere. I genitori, dal canto loro, sono stati essi stessi assorbiti dagli smartphone, dalle relazioni virtuali.Basti pensare al fenomeno del tradimento virtuale sul quale volutamente non mi soffermo.Molto spesso sottovalutano quindi il problema senza pensare che la crescita di un bambino/a ragazzino/a necessità di esperienza vera. Di contatto reale con la realtà nella sua duplice faccia bella/brutta.Solo genitori attenti e consapevoli ed “educati” ai rischi e pericoli, possono riuscire a gestire questa nuova realtà in pieno e costante cambiamento. Credo che solo un bagaglio di ricordi, esperienze ed emozioni aiuterà i propri figli a non perdere il contatto vero con le cose della vita e con la sua bellezza e possa attutire il senso di vuoto che rischia di sovrastarli. Io ho scritto un piccolo racconto per adolescenti e genitori proprio su questo tema. Si intitola “Su una nuvola”. Purtroppo è sempre più facile e usuale lasciare i figli, a qualunque età, fare l'uso che meglio preferiscono di oggetti come smartphone e tablet. Sebbene questi siano strumenti imprescindibili da integrare nella vita dei ragazzi è altrettanto giusto che i genitori prima ancora degli insegnanti vigilino per evitare le conseguenze nefaste che l’uso smodato ed incontrollato può comportare.Non si può delegare tutto alle scuole e alle istituzioni. Bisogna sensibilizzare i genitori.

Laura Pizzo

Troppo facile delegare…

La scuola??? Ma scherziamo!! Ha ragione il sig Crepet. L'educazione è un compito dei genitori. Troppo facile delegare. La scuola già fatica a gestire... Ora deve pure educare?

Daniele Poretti

Diamo valore soltanto alle cose vere

Io sono nato nel 1966, altri tempi quindi. Ho avuto una gioventù non facile a causa della perdita precoce dei miei genitori, e del fatto che mi sono trovato a 13 anni a dover decidere cosa fare della e nella mia vita. Ho dovuto trovare in me la forza per realizzare i miei obiettivi. Certo, anche con l'aiuto di chi mi ha dato supporto, e con l'aiuto della realtà e concretezza della società di allora e che oggi, purtroppo, è stato sostituito da una società e da "valori" basati sull'apparire e non sull'essere, quindi falsi valori. Quando io ero giovane i sogni (i miei, ma sicuramente anche quelli di tanti altri ragazzi come me nati negli anni '60 e '70) erano quelli di riuscire nella vita ad avere una buona formazione professionale, un buon posto di lavoro, un buon salario, l'essere rispettato per i propri valori, farsi una famiglia e trasmettere questi valori ai figli. Tutto questo era qualcosa di reale e tangibile, in una società dove non c'erano tanti "gadgets" che ci sono oggi.  Si era considerati (o non considerati) per qualcosa di "reale", visibile e tangibile, quindi valutabile con un metro anche concreto e tangibile.  Oggi molti giovani vivono un periodo nell'adolescenza dove la società insegna loro a dare valore a cose sbagliate: come l’apparire. Si è qualcuno degno di considerazione per la marca di scarpe che si porta, per la giacca firmata o per il modello di telefonino che si possiede. Ancora peggio, i giovani si valutano l'un l'altro dal numero di followers su un social media .... E tutto questo amplificato da certe trasmissioni TV che sottolineano e danno risalto a tutta una serie di falsi valori. Un vero lavaggio del cervello viene fatto sui nostri giovani da programmi TV che fosse per me andrebbero cancellati. Purtroppo anche molti adulti seguono come ipnotizzati questi programmi assolutamente stupidi e deleteri. I giovani che oggi attraversano la fase dell'adolescenza si trovano confrontati con il materialismo piu estremo, e si "confrontano" tra loro sulla base di falsi valori.  E in questa fase dove alcuni vengono esclusi o non considerati in quanto non degni di esserlo (secondo i falsi standard presi in considerazione) i più "deboli", magari quelli che si trovano già in una situazione di sofferenza per problemi reali della vita (problemi in famiglia, divorzio dei genitori etc), subiscono frustrazioni e scontentezza, si rinchiudono in se stessi, provano sensazioni negative di insuccesso etc.  tutte situazioni che possono portare conseguenze anche gravi in chi si trova ad attraversare una fase già critica o problematica.Queste persone purtroppo possono subire danni a livello psicologico e magari non riuscire a rialzarsi. La maggior parte dei giovani per fortuna attraversa indenne la fase dell'adolescenza, matura e supera questa fase delicata ed arriva poi al punto dove i veri valori della vita sono riconosciuti e considerati. Intanto però qualche vittima sarà stata mietuta, qualcuno non ce l'avrà fatta.E noi siamo qui a chiederci come si sarebbero potuti aiutare quelli che non ce l'hanno fatta. Il "come" in una frase potrebbe essere "tornare a dare valore a cose vere", "tornare ad insegnare ai nostri giovani i veri valori della vita", ed in questa direzione dovremmo tutti, genitori, famigliari, scuola e istituzioni, lavorare di concerto con un obiettivo comune, per il bene dei nostri figli, dei nostri giovani e della societa. Non dimentichiamo che la società di domani sarà costituita dai giovani di oggi. I valori che saremo in grado di trasmettere oggi ai nostri giovani saranno i valori della società di domani.

Daniel Voisin

 

 

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