Gli artigiani, la politica e i fatti testardi

L'EDITORIALE DI GIANNI RIGHINETTI
Gianni Righinetti
05.11.2018 06:00

di GIANNI RIGHINETTI - Nascere e morire nello spazio di poco meno di quattro anni. È il destino al quale va incontro la Legge sulle imprese artigianali (LIA) varata dal Gran Consiglio il 24 marzo 2015, a poche settimane dalle elezioni cantonali e che sembra ormai avere le ore contate. Tra oggi e domani il Parlamento sarà chiamato ad affossare o edulcorare un testo accolto con grande euforia in un momento di accesa campagna elettorale, un periodo nel quale le emozioni irrazionali soffocano la ragione. Quel passo era stato considerato essenziale, imprenscindibile per il lavoro in Ticino nel ramo dell'artigianato ed era stato ritenuto addirittura salvifico per combattere il fenomeno dei lavoratori distaccati e dei padroncini. Ma soprattutto in grado di proteggere, fare respirare e rilanciare un settore importante dell'economia locale al cospetto della concorrenza d'oltre confine che, spesso senza alcun pudore, s'insinua tra le maglie delle nostre leggi e dei nostri regolamenti ingolosendo quei ticinesi che da una parte sono strenui difensori del primanostrismo, ma nello stesso tempo non disdegnano pagare in euro per risparmiare qualche franco.


La storia della LIA con il suo controverso albo degli artigiani, tra tasse d'iscrizione e soffocamento della concorrenza era già scritta, ma nessuno ha voluto sentire le voci contrarie che si erano alzate, anzi, quell'unica voce che con coraggio e lungimiranza era echeggiata in Parlamento; e quell'eco ad anni di distanza risuona ancora tra le mura di Palazzo delle Orsoline. In quel pomeriggio del 2015 era stato un plebiscito a favore della LIA, 55 voti favorevoli, 1 contrario e 2 astensioni. A dire no e a spiegare il perché era stato il solo Carlo Luigi Caimi, deputato popolare democratico al capolinea nella sua esperienza nel Legislativo cantonale, avvocato come diversi dei 90 granconsiglieri: «Il mio sarà un voto negativo. Mi spiace dover fare il bastian contrario, ma non è la prima volta che ribadisco che, al di là delle operazioni di maquillage eseguite, la legge proposta è contraria alla legge federale sul mercato interno. Quando si danno giustificazioni che nessuno ha richiesto come quelle contenute nel rapporto commissionale, il sospetto che la Legge sul mercato interno non sia rispettata aumenta». Questo è quanto si legge nei verbali del Gran Consiglio e oggi i tribunali gli hanno dato piena ragione. E le parole di coloro che avevano difeso l'indifendibile, come l'iniziativista Paolo Pagnamenta e il relatore Giorgio Galusero (entrambi PLR), ma anche gli ormai ex deputati Gianni Guidicelli (PPD) e Saverio Lurati (PS), sono contrarie a un principio sacrosanto: quello della legalità. Ovviamente va riconosciuta la buona fede di questo trasversalmente ampio e politicamente accecato fronte, come pure la volontà del Governo e del direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali di dare una scossa. A stupire però è che un uomo di diritto come lui sia scivolato sulla buccia di banana della LIA ed è incredibile come la mossa protezionistica all'eccesso non sia stata sottoposta a verifiche. Ad un anno dal varo lo stesso Esecutivo ha ammesso che «sulla LIA non sono stati formulati pareri giuridici preliminari alla sua adozione». Ma lo stesso Zali è stato il primo a rendersi conto delle criticità e a non esitare quando i tribunali si sono pronunciati nell'affermare che per questa legge illegale non servono cerotti, ma va abbattuta con la scure. Due sono le istanze giudiziarie che hanno detto la loro, il Tribunale amministrativo sentenziando su alcuni ricorsi presentati da privati e anche la Commissione della concorrenza che ha definito l'albo degli artigiani illegale poiché «limita l'accesso al mercato in modo lesivo dei principi scaturenti dalla Legge federale sul mercato interno». Poi, pochi giorni fa, il Tribunale federale ha dato uno schiaffo all'Unione delle associazioni dell'edilizia assieme a nove associazioni di categoria giudicando inammissibile il loro ricorso teso a fare valere la bontà della LIA richiamando quello che, a loro modo di vedere, è un sacrosanto «interesse pubblico».
Dal profilo legale la partita è chiusa da un verdetto molto chiaro, ma resta aperta dal punto di vista politico.


Ora si tratta di mettere da parte il sogno di proteggere un ramo dell'economia in barba al diritto superiore e di guardare ai fatti. Fatti che sono ben più testardi e solidi di quella volontà politica che, grazie a una buona dose di pressappochismo ha generato illusioni, creato un inutile e costoso mostro burocratico. Ma guardando alle opzioni sul tavolo del Gran Consiglio tra chi vuole subito rilanciare con una nuova iniziativa e chi mira a salvare il salvabile non si può non manifestare sconcerto. Lo stesso sentimento non si può sottacere di fronte all'intenzione dell'Unione delle associazioni dell'edilizia di impugnare il referendum se il Legislativo affosserà la LIA. Questo strumento democratico può essere legittimamente messo in atto, ma non sfugge l'atteggiamento un po' perverso che porterebbe a usare uno strumento democratico per sostenere una legge ritenuta illegale dai tribunali.