Dopodomani

Gli USA e Google

Il governo americano ha deciso di applicare la legge antitrust contro una delle big tech — La legge per domare i monopoli però ha più di un secolo, funzionerà anche oggi, nel mercato digitale?
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Patrizia Pesenti
Patrizia Pesenti
28.09.2023 06:00

«Gli Stati Uniti contro Google». La formula di rito con cui viene annunciato l’inizio del processo fa un certo effetto. Il governo americano - e per lui il dipartimento giustizia - ha deciso di applicare la legge antitrust contro una delle big tech. La legge per domare i monopoli però ha più di un secolo, funzionerà anche oggi, nel mercato digitale?

 Non sarà facile e il processo, che durerà mesi, appassiona non solo gli specialisti del diritto sulla concorrenza. Di certo il dipartimento di giustizia parte in salita. La legge antitrust era nata nel 1890 per proteggere il libero mercato, il commercio e i consumatori dalle concentrazioni di potere. I monopoli, in assenza di concorrenza, ne approfittavano per alzare i prezzi e offrire prodotti scadenti. Ma Google? È gratis e il prodotto che offre non è poi male. Certo potrebbe essere molto meglio, ma insomma, non costa niente. Ma attenzione, obbietta l’accusa, non è gratuito per chi fa pubblicità. Sono infatti gli inserzionisti a garantire le entrate e non hanno modo di opporsi ai prezzi che fissa Google. Inoltre, neppure per gli utenti è veramente gratuito: paghiamo con i nostri dati personali, quelli sulle nostre ricerche ma anche i dati di localizzazione, insomma tutte le informazioni che la piattaforma può rastrellare. Preziosi da rivendere al miglior offerente, essenziali per la pubblicità sempre più personalizzata. E l’utente non può certo sottrarsi a questa forma di pagamento - anche qui le condizioni le detta Google, se non si clicca «accetto» non si usa. Ma la legge del 1890 di tutto questo non parla.

Google sostiene di avere dei concorrenti. È vero, un po’ nascosti ma ci sono. Quando aprite la pagina del vostro browser internet e cliccate sull’icona a forma di lente (funzione di ricerca) li vedete elencati (per esempio DuckDuckgo oppure Bing). I concorrenti ci sono, distanti solo qualche «clic». Basterebbe saperlo. Ma Google fa di tutto per restare sempre la prima opzione. Come? Semplice, paga cifre miliardarie, per esempio a Apple e Samsung. Oooops, questo sotterfugio negli Stati Uniti è illegale. L’accusa sostiene che senza questi accordi Google non dominerebbe il novanta per cento del mercato.

Alle accuse rispondono: Si è vero, abbiamo una grande quota di mercato ma perché siamo bravi, il nostro prodotto è ottimo e gratuito. E la nostra concorrenza è al di là dei motori di ricerca, sono ChatGPT e TikTok per le informazioni oppure Amazon per trovare un prodotto. In sostanza dicono: Non siamo veramente un monopolio perché dobbiamo tener testa a tanti altri giganti del mercato.

Il problema è evidente, le big tech della Silicon Valley si sono fatte troppo grandi persino per gli Stati Uniti. Solo l’Europa è riuscita a mettere qualche freno a tutela degli utenti. Ma non basta per ostruire la loro dominanza perché nell’economia digitale tutto funziona meglio se generato su grande scala. Quello digitale è un mercato dove the winner takes all. Non ci sono nicchie in cui crescere e proporre un prodotto concorrenziale. Le piattaforme vivono di pubblicità e questa si concentra dove ci sono più utenti. Gli utenti si raggruppano dove trovano le migliori condizioni - in questo caso informazioni - e dove c’è più traffico. Qui convogliano anche più dati, che servono al motore di ricerca per funzionare ancora meglio. Creare monopoli è proprio nella natura dell’economia digitale. Un circolo virtuale dal punto di vista delle big tech - un circolo assai vizioso dal punto di vista di tutti gli altri.

E preoccupa che la forza monopolistica delle big tech sia destinata a crescere con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Maggiore disponibilità finanziaria, più dati e più capacità di calcolo producono sistemi AI più «intelligenti».

Di certo le big tech sbarrano la strada a tante aziende che potrebbero essere innovatrici. Del resto quando ne scovano   una interessante lanciano un’offerta a cui la start-up non sa resistere e la comperano. È uno dei punti dell’accusa: Google ostruisce lo sviluppo di innovazioni e depriva i consumatori di prodotti migliori. Ma non occorre essere un avvocato per capire che questo non è illegale.

Forse Google è un caso più per il legislativo che per i giudici.