Calcio

I mali della Juve e i piedi d’argilla del calcio europeo

Un Torquemada si aggira per l’Europa: ovviamente è spagnolo, ma parla di calcio e soldi, di club e debiti, di acquisti sproporzionati e di follie economiche
Giancarlo Padovan
Giancarlo Padovan
04.12.2022 11:30

Un Torquemada si aggira per l’Europa. Ovviamente è spagnolo, ma parla di calcio e soldi, di club e debiti, di acquisti sproporzionati e di follie economiche. È il presidente della Liga, Javier Tebas che, dopo aver duramente attaccato Paris Saint-Germain e Manchester City, rispettivamente per il maxi rinnovo a Kylian Mbappé e per l’acquisto di Erling Haaland, ha messo nel mirino la Juventus, travolta dalle inchieste della magistratura ordinaria italiana e della Consob.

Ovviamente, secondo carattere e pessimo gusto, Tebas non solo si è detto felice delle dimissioni di Andrea Agnelli, suo antagonista sulla questione Superlega, ma ha anche chiesto all’UEFA l’immediato bando dei bianconeri dalle competizioni continentali. Un atteggiamento scomposto e illogico, da parte di un dirigente che dovrebbe conoscere, oltre alla presunzione d’innocenza, anche la necessità delle indagini, degli accertamenti e, soprattutto, dei processi. Tuttavia l’UEFA, con grande sprezzo del ridicolo, ha effettivamente aperto una inchiesta sulla Juve.

Bene ha fatto, comunque, il presidente della Federcalcio italiana, Gabriele Gravina, a replicare a Tebas in maniera secca: «Ognuno farebbe bene a guardare in casa propria». A cosa si riferiva Gravina? Ad almeno due aspetti. Nel 2016 ben sette club della Liga di Tebas furono sanzionati dall’Unione Europea per un caso di aiuti di stato. Così come, sempre nella Liga, ci sono attualmente società iscritte al di fuori dei parametri stabiliti, primo fra tutti il Barcellona che, al pari della Juventus, parteciperà da retrocesso della Champions League alla prossima Europa League.

Tra le grandi d’Europa, forse il solo Bayern Monaco è senza peccato. Certo non il Paris Saint-Germain, né il Manchester City che da anni non rispettano il fair play finanziario. Meno che mai la Juventus che, secondo l’accusa della Procura di Torino, ha falsificato i bilanci.

L’esperienza, prima ancora che un’impressione istintiva, ci induce a sostenere che la situazione del calcio continentale sia ormai totalmente fuori controllo, che siano saltate le verifiche degli organi interni e che si debba andare ad una grande riorganizzazione di un sistema dopato dalle plusvalenze fittizie e dagli aggiustamenti di bilancio.

Un problema che riguarda tutto il calcio di vertice, visto che la basilare norma del fair play finanziario, è il raggiungimento sul medio- lungo periodo dell’auto-sostentamento. Insomma i club, senza ricorrere ad aiuti esterni o a sponsorizzazioni camuffate, dovrebbero essere in grado di spendere in base a quanto incassano o producono.

Tutto questo è stata pura utopia. Tanto che non si è capito perché, dal 2009 in avanti, alcune società siano state punite con l’esclusione dalle Coppe o il blocco del mercato, mentre altre - Paris, City, Real, Barcellona, Juventus - hanno speso senza rispetto delle norme. L’UEFA, più che interventista, è stata osservatrice silente e paziente, permettendo una deriva ora difficilmente rimediabile.

La mia soluzione è che, essendo il calcio un’azienda, non possa derogare dai princìpi imprenditoriali. Società che hanno oltre 250 milioni di passivo, nonostante una recente ricapitalizzazione di 400 - la Juventus appunto - , sono destinate a portare i libri in tribunale e a dichiarare fallimento. Un’ipotesi, almeno in Italia, non troppo lontana dalla realtà. Il presidente della Lega, Lorenzo Casini, l’omologo di Tebas, si è fatto sentire dal mondo politico. Chiedendo, in ultima istanza al governo, che vengano dilazionati i 500 milioni di euro che i club devono al Fisco. Se non verranno aiutate, almeno quattro società di serie A italiane rischiano di saltare con grave nocumento per la credibilità dell’intero movimento.