Il divano orientale

Il galateo del geloso

Il fenomeno cessa di apparire ridicolo e ricade nella sfera della responsabilità del maschio di «salvaguardare» la donna dal nemico
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Marco Alloni
Marco Alloni
27.10.2022 06:00

«La gelosia è un mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre». La famosa sentenza è di Shakespeare, che non a caso nell’Otello ha messo in scena il fenomeno tinteggiandolo di orientalità. Se non proprio tipicamente orientale, la gelosia è in effetti molto più pronunciata laddove l’Occidente del libertarismo non ha fatto pienamente il suo ingresso, poco importa se in un contesto islamico, cristiano o di altra natura. Una puntata in Medioriente e se ne ha presto la misura: in omaggio al principio arcaico della marchiatura, l’impressione è che il «diritto di proprietà» legittimi di fatto la facoltà di proteggere la propria compagna tra le grate della gelosia.

Proteggere, sì. Poiché il diritto alla gelosia, in terra araba, lungi dall’accompagnarsi alla vergogna, procede da quello stesso senso di onore che fu fino a pochi decenni fa a fondamento del cosiddetto delitto d’onore. Per cui i dileggianti «occhi verdi» di Shakesperare non scrutano in realtà solo il rivale, ma la propria capacità di conservare la dignità maschile, se non addirittura la virilità (cornuto e mazziato valendo quasi l’anatema di apostata).

Posto entro questo quadro di legittimazione, il fenomeno della gelosia cessa quindi di apparire ridicolo e ricade nella sfera della responsabilità del maschio di «salvaguardare» la donna dal nemico. Al punto, potremmo dire, che proteggerla non equivale più a diminuirla ma a onorarla.

La quotidianità si presta così a siparietti, da un punto di vista occidentale, tra i più grotteschi. Ma dal punto di vista «arabo-orientale» forse addirittura di apprezzata galanteria. La coppia entra in una caffetteria? Il maschio, secondo un atto d’imperio che noi rubricheremmo come maleducazione, o mancanza di bon ton, decide per entrambi dove debbano sedersi. E regolarmente la donna è posta con le spalle alla sala per non incorrere in sguardi altrui, spesso trovandosi a fissare un muro per un’intera ora in devota rassegnazione al proprio ruolo. Oppure: la donna accavalla le gambe? Lui le porta una mano al ginocchio e la esorta a scavallarle. Oppure: sul petto della donna si apre una remota scollatura, l’insidioso erompere di un frammento di sterno? Lui è sollecito a indicarle lo scialle o un lembo di velo perché la copra. Oppure: lei saluta qualcuno che le passa davanti? Lui spende il resto dell’incontro a informarsi sull’identità dello sconosciuto. Oppure: lei riceve un messaggio telefonico? Lui passa al setaccio lo smartphone per cogliere ogni possibile indizio di infedeltà. Oppure: lei in metropolitana rischia il contatto con corpi maschili? Lui le si para davanti arginando ogni avventore con braccia allargate, petto proteso e una corona di pavone intorno alle spalle.

Quanto basterebbe a ridurre alla claustrofobia una ragazza occidentale, ma quanto viceversa rientra, quasi sempre con perfetta naturalità, nelle nobili strettoie di «protetta» di una donna orientale. Paese che vai, Galateo che trovi.