L'editoriale

Il Natale oltre le guerre, un nuovo inizio

La difficoltà di credere al Natale delle cartoline o dei film canadesi del pomeriggio, in tempi di guerra tutto l'anno - La soluzione: risalire al senso del 25 dicembre
Paolo Galli
24.12.2025 06:00

Quanto è diventato difficile credere ancora al Natale delle cartoline, o dei film canadesi dei pomeriggi in tv. Tanta neve ovunque. I bambini pattinano su laghi ghiacciati. Le storie d’amore eterno nascono sotto il vischio, così come d’estate affiorano le cotte estemporanee. E nulla che sembra poter scalfire questo scenario. È l’innocenza. Era l’innocenza. Scandita da ritmi lenti e riscaldata da cioccolate con panna e maglioni accoglienti quanto improbabili. Ma è sempre più difficile, ormai, sospendere l’incredulità, ovvero cedere a quel patto secondo cui quella realtà è possibile. Certo, possiamo concedere qualcosa alla nostalgia, ricordando - quando non edulcorando - il Natale dell’infanzia, dell’attesa e della magia. E poi?

La realtà incalza. La caccia al regalo è uno stress che proviamo a celare, perlomeno ai bambini. E la neve è lontana, sempre più lontana, anche in montagna, e figuriamoci in città. La guerra è a due passi. Volodymyr Zelensky avvisa: «Ci aspettiamo massicci attacchi russi a Natale». Ma sappiamo che anche quelli fanno parte di questa realtà. Non viene sospesa la guerra, e allora perché dovremmo sospendere l’incredulità? «Quando la Russia afferma che non ci sarà un cessate il fuoco a Natale, sta dicendo questo: è un modo per enfatizzare le minacce». Anche a Natale, sì. In fondo, che senso avrebbe un giorno di pausa, l’illusione della pace, da cancellare poi, immediatamente, con una pioggia di missili a Santo Stefano? «Il nemico non rispetta nulla, nemmeno le festività», ha ricordato Zelensky.

I riferimenti, nel passato, a dire il vero, non mancherebbero neppure. La tregua di Natale più celebre e celebrata resta quella del 1914, nel pieno della Grande guerra. Ma è un precedente che nacque spontaneamente, dal basso, dai soldati stessi. Non dai vertici militari e politici. Difficilmente Vladimir Putin mostrerà pietà, o compassione. Ieri notte, ha lanciato oltre trenta missili sull’Ucraina. E più di 650 droni. Che hanno causato varie vittime, tra cui un bambino di quattro anni. «L’attacco russo di stanotte segnala molto chiaramente le priorità russe», ha commentato ancora il presidente ucraino, sfruttando in fondo l’episodio sul piano della dialettica di guerra. «Un attacco prima di Natale, quando le persone vogliono semplicemente stare con i loro cari, a casa, in sicurezza». Ma Zelensky, per certo, non ha mai sospeso la propria incredulità. Sa benissimo come vanno le guerre. E la richiesta di pietà, appunto, di compassione, anche per Natale, sa perfettamente che è destinata a cadere nel vuoto.

Da una guerra all’altra, il cardinale Pizzaballa, da noi intervistato proprio nell’edizione odierna, è stato a Gaza per tre giorni, fino a domenica. Una visita alla piccola ma resistente comunità cristiana, culminata con il battesimo di un bambino appena nato. È stato il gesto che, più di ogni altro, ha dato un senso al suo viaggio. E che ancora dà un senso al Natale. Forse, allora, è questa la chiave per non cedere al cinismo o al nichilismo, nonostante i tempi e i venti di guerra. Mantenere viva la voglia di un futuro, di un domani migliore. Mantenere viva la fiducia. Guardando al Natale da questo punto di vista, la questione non è tanto legata alla sospensione dell’incredulità, al credere o meno in sentimenti volatili e in una felicità di cristallo, chiusa in una boule à neige con tanto di neve finta, che la neve vera comunque non c’è più. La questione è credere non tanto agli amori sotto il vischio e alle immagini del passato, ma piuttosto che i nostri figli possano contribuire a migliorare il mondo che verrà. Dobbiamo guardare al Natale per quello che è, l’inizio di un «domani», non una semplice pausa, un’interruzione, di un burrascoso e drammatico «oggi».