L'opinione

Il prete, oggi, nella società secolarizzata

L'opinione di Marco Tonacini–Tami, già collaboratore de «L’Osservatore Romano»
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Red. Online
12.06.2024 21:54

In una società secolarizzata, complessa e frammezzata, anche per i preti parecchie sono le questioni esistenziali che restano irrisolte. Per i sacerdoti e i religiosi (e), perlopiù si tratta di una crisi di identità vocazionale. Essi sono confrontati con parecchie «sfide», per cui, a volte, fanno fatica a verificare la propria personale autenticità.

Preti, giovani e anziani, oggi, non usano più indossare la veste talare, sostituita con il clergyman. È vero che «l’abito non fa il monaco», ma è altrettanto vero che ciò che distingue il sacerdote dal laico è il bianco colletto romano. Ma neppure questo segno, da parecchi preti, viene usato. Si dirà che i tempi sono cambiati.

Con l’aumento delle crisi di identità vocazionale, un buon numero di preti «anche se molto giovani e in gamba» lasciano il ministero». (Da «Vita Pastorale» No 5 -maggio 2024, a pagina 8). Certo, importante è «la formazione umana e pastorale che per i presbiteri deve essere permanente chiamati a  «essere testimoni autentici e credibili del Vangelo» (CEI – maggio 2024); per portare la Chiesa «sulle vie della fedeltà evangelica» (Paolo VI).

È bello incontrare oggi preti, religiosi (e) che vivono fedelmente la propria vocazione con impegno, impegnati in una dedizione totale di ministero pastorale spesso ignorata e anche misconosciuta. Il loro «donarsi» senza riserve al servizio pastorale delle comunità ecclesiali loro affidate talvolta impone delle rinunce, per esempio quando l’armonia tra unità istituzionale e pluralismo pastorale è un meta difficile da acquisire.

 Purtroppo ancora oggi nella Chiesa ci sono divisioni, pettegolezzi, scandali di diversa natura, soprattutto sessuali. Nei fedeli c’è, sconcerto, amarezza, delusione, smarrimento; nell’opinione pubblica la credibilità nella Chiesa istituzionale viene meno. Se in passato gli abusi sessuali commessi da sacerdoti, e da persone consacrate e dintorni, venivano insabbiati, coperti o ignorati; documenti e testimonianze tolti dagli archivi della Curia vescovile e, per ordine del vescovo diocesano pro tempore bruciati per cancellarne le prove di tali crimini delittuosi, oggi, con il senno di poi, nella Chiesa, (a parte qualche resistenza) vige la «tolleranza zero».  In Svizzera, la Conferenza episcopale (22 maggio scorso) ha dichiarato pubblicamente che i colpevoli di questi crimini su minori e persone adulte inette a resistere vengono giudicati da un tribunale ecclesiastico, facendo capo anche a una consulenza di personale esterno; i colpevoli vengono, senza se e senza ma, segnalasti alla magistratura civile

 Per ritornare al discorso iniziale, che dire poi, di quei presbiteri che si presentano in pubblico o in televisione con abbigliamenti griffati, all’ultima moda, camicia e cravatta? Non sono un leferiano, né un nostalgico del passato, ma ci tengo ad evidenziare la distinzione fra il sacro e il profano da chi, nella Chiesa, esercita un ministero, ed è al servizio del «Popolo di Dio» (Concilio Ecumenico Vaticano II - 1962 – 1965).  

 In una chiesa del locarnese una penitente, credendo che fosse il sagrestano vedendolo affaccendato nel sistemare i banchi nella navata della chiesa, gli   ha chiesto se c’era un sacerdote per confessarsi. Questi in jeans e camicia colorata con maniche corte, con un salto acrobatico, si infilò nel confessionale. Immaginiamo lo stato d’animo di quella penitente.... Ogni commento, direi, è superfluo!

 I suoi biografi raccontano che l’austero Cardinale Alfredo Idelfonso Schuster, Monaco benedettino dell'abbazia di San Paolo fuori le mura  -  (Roma 18 gennaio 1880 – Venegono Inferiore, 30 agosto 1954) -, già Arcivescovo di Milano dal 1929  al  1954, al termine del pontificale in Duomo, i seminaristi che avevano prestato servizio liturgico all’Altare processionalmente lo accompagnavano in Arcivescovado. Congedandosi da loro il Cardinale era solito salutarli personalmente; notando che un chierico aveva i polsini d’oro, gli disse: «Neppure il Cardinale Arcivescovo li ha…» 

Nella allora mia Parrocchia di Torricella – Taverne, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, vidi il mio Parroco, Don Lino, con una vecchia talare assodare il terreno nel piccolo orto accanto alla Canonica. «Ma, Signor Curato, gli dissi: Per fare certi lavori manuali…».  la tolga quella talare. E lui di rimando: «Un buon soldato non deve mai togliere la sua divisa!». Altri tempi, si dirà. Comunque, ciò che vale anche oggi per tutti è l’antico motto latino, aforisma del diritto romano che si ispira ai passi di Cicerone (Iustitia…: «unique suum cuique distribuit»: - «A ciascuno il suo!».