La posta di carlo silini

Impariamo l’italiano o gli altri penseranno per noi

© CdT/Chiara Zocchetti.
Carlo Silini
19.05.2021 06:00

Girovagando per il pianeta ho imparato un paio di cose, ad esempio che oggi in Brasile non si parla il portoghese bensì il brasiliano, che nei Paesi bassi non si parla più il tedesco ma l’olandese, che nella Svizzera germanofona non si parla il tedesco ma lo schwyzerdütsch...In Italia e da noi, oltre ai dialetti siamo rimasti alla lingua di Dante, lingua che in 700 anni si è naturalmente «evoluta». Esempio: lemmi come figo, sfigato, figata sono relativamente nuovi. laRegione di sabato 8 maggio concludeva l’articolo «Jazz Close» (da New York) con la frase «Voglio solo essere nel contesto e fare la figa indossando un grande cappello».Mi chiedo, ma che sia colpa – o forse merito – dello svizzero tedesco? Qualche anno fa la voce figugegl imperversava nella pubblicità d’oltralpe ma era soltanto l’acronimo di «Fondue isch guet und git e gueti Luune» e cioè «La fondue è buona e ti mette di buon umore». In questo caso bisognerebbe dire che non si è confuso il Burro con la Ferrovia ma la Fondue con Là, dove non batte il sole! Caro Silini, sia un po’ più... profondo nella risposta. Grazie !!

Elio Rodelli, Losone

La risposta

Caro Elio Rodelli, vista l’ultima immagine che evoca è meglio non esagerare con gli approfondimenti, non vorrei mi impacchettassero per offesa al pudore. Ma in realtà trovo affascinante che la lingua evolva con chi la parla e la scrive. Certo, si moltiplicano gli allarmi per i cedimenti allo scurrile o per l’appiattimento all’inglese quando potremmo benissimo utilizzare la nostra lingua. Perché dire «lockdown» se in italiano esiste «chiusura»? L’imporsi della terminologia angloamericana a volte è naturale, quando esprime concetti elaborati in quella cultura, ad esempio nel campo dell’informatica. Non vedo perché dovremmo trovare un’alternativa a «computer», anche se ci si è provato con «calcolatore», «elaboratore» e - il più suggestivo - «cervello elettronico». Alla fine, è la lotta darwininana del linguaggio a decidere se si imporrà un termine straniero, un neologismo o un lemma antico e assodato. Del resto, la lingua «pura» non esiste nemmeno a Firenze. Se no dovremmo parlare come Dante, o come il Manzoni che si faceva il dovere di «sciacquare i panni in Arno», cioè di uniformare la sua lingua a quella fiorentina. Ma ha davvero senso? L’italiano trae gran parte del proprio lessico dal greco e dal latino e si avvale di numerosi «prestiti» perfettamente assimilati, dal francese, dallo spagnolo, dal tedesco, dall’inglese, senza contare l’infuenza dei vari dialetti locali: sarebbero oltre 250 le lingue di cui l’italiano è debitore.

Per venire, ora, al vezzo linguistico che mi sottopone - figo, figa e via figheggiando - beh, non mi sconvolge. Convengo che non è elegante, ma ormai ha la stessa carica trasgressiva di «accidenti» e «perdindirindina». Mi deprimono molto di più, invece, gli impoverimenti lessicali, grammaticali e sintattici. Perché chi si esprime bene pensa bene e, viceversa, chi non possiede sufficienti strumenti linguistici permette che siano gli altri a pensare per lui.