L'editoriale

In Francia un incendio difficile da domare

L’ondata di violenza scatenatasi dopo l’uccisione, a Nanterre, del diciassettenne Nahel, da parte di un agente di polizia durante un banale controllo stradale, svela un malessere etnico e sociale che va largamente al di là del singolo e gravissimo episodio
Ferruccio de Bortoli
Ferruccio de Bortoli
01.07.2023 06:00

La rabbia francese lascia attoniti e preoccupati. L’ondata di violenza scatenatasi dopo l’uccisione, a Nanterre, del diciassettenne Nahel, da parte di un agente di polizia durante un banale controllo stradale, svela un malessere etnico e sociale che va largamente al di là del singolo e gravissimo episodio. Non c’è solo la mala gestione dell’ordine pubblico, l’inaccortezza degli organi di polizia, che tracima però non raramente, quando si tratta di persone di minoranze etniche, in una brutalità incomprensibile in una democrazia compiuta. Tredici morti in un anno solo per verifiche sugli automobilisti. Se questo «eccesso di autorità» lo respingiamo per gli Stati Uniti (si pensi solo alla morte di George Floyd nel 2020) a maggior ragione dovremmo farlo per la Francia, patria dei diritti e della tolleranza, terra di rifugio di tanti perseguitati nei loro Paesi, orgogliosa del proprio potere mite, figlia dell’Età dei Lumi, multietnica e multiculturale. L’uccisione di un adolescente, e in quel modo, è inaccettabile per Emmanuel Macron che - a testimonianza della gravità dei problemi d’ordine pubblico del suo Paese - ha lasciato anzitempo il vertice europeo dove pure si discutevano temi di particolare interesse nazionale come il nuovo patto di stabilità e crescita. Il presidente ha chiesto - fatto inusuale - anche la collaborazione dei genitori («Tenete a casa i figli») e dei social network.

Nahel, di origine franco-algerina, non era solo un minorenne, era disarmato. Senza precedenti penali. «Ti pianto una pallottola in testa» lo avrebbe minacciato così il poliziotto che ora è agli arresti domiciliari. E la prima giustificazione - la reazione a un tentativo di investire gli agenti - è stata subito smentita dalle telecamere come spesso accade, non solo in Francia, davanti a episodi simili. Sono state notti di terrore, incendi, violenze. Non solo a Parigi ma anche in diverse altre grandi città francesi. Sull’orlo della dichiarazione dello stato di emergenza - come avvenne nel 2005 con Jacques Chirac all’Eliseo - il governo non può che reagire con fermezza. Nessuna giustificazione. Ammettere la responsabilità delle forze di polizia, assicurare che vi sarà un processo giusto e immediato, non comporta assolutamente la concessione di una sorta di certificato d’impunità per gli autori della rivolta. Il paradosso è che nel reprimere la protesta, limitando anche la vita dei cittadini, la funzionalità dei trasporti, l’uso della forza dovrà essere risoluto. Come se fosse in atto l’inizio di una guerra civile. Senza andare tanto per il sottile. Senza badare troppo a quei principi di «stretta proporzionalità» e di «assoluta necessità» che pure sono richiamati nella tanto contestata legge di pubblica sicurezza del 2017, approvata in tutta fretta dopo il ferimento di due agenti pochi mesi prima a Viry-Chatillon. Norme che hanno esteso i casi in cui l’uso delle armi è consentito. Anche per il rifiuto di ottemperare ai controlli. Il numero di sparatorie contro i veicoli in movimento è subito aumentato per poi diminuire. Episodi che hanno visto nella maggior parte dei casi coinvolti cittadini neri o di origini arabe. Il giro di vite non è servito per tutelare meglio l’ordine pubblico ma ha acceso ancora di più il risentimento delle periferie. In alcune banlieue la legge francese non è di fatto applicata. Isole extraterritoriali nelle quali il senso di esclusione prolifera. Il confine tra l’espressione del malessere e la scelta della violenza è assai sottile. L’appartenenza a bande giovanili, specie per chi si sente solo immigrato ed emarginato, affascina più delle regole di una società che si percepisce distante e ostile. Mai potrà essere un’attenuante ma è la ferita aperta di una società multietnica che non trova un suo equilibrio. Le leggi di polizia sono necessarie, certamente migliorabili, ma non bastano.   

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