La posta di Carlo Silini

A quali stranieri preferiamo aprire le porte?

© CdT/Chiara Zocchetti
Carlo Silini
31.05.2022 06:00

Caro Carlo, tempo fa titolavi una tua risposta «Di che colore è il passaporto dei delinquenti?». Francamente non lo so e non so neppure se i delinquenti un passaporto autentico ce l'abbiano davvero. Ma riflettendo forse la domanda andrebbe reimpostata. Bisognerebbe infatti chiedersi non di che colore è il passaporto dei delinquenti, bensì come fanno i delinquenti, soprattutto quelli di grosso calibro, a cambiarlo con estrema facilità. Chi agisce nel torbido infatti continua a spostarsi e a mutare abitudini con l'obiettivo di non farsi rintracciare e continuare ad operare nell'illecito in piena libertà: leggi differenti tra Paese e Paese, funzionari compiacenti e corruzione unitamente alla possibilità di poter far sempre capo a ingenti finanziamenti nonché a sicuri rifugi, consentono al delinquente di cambiare domicilio e molto spesso nazionalità. Detto questo bisognerebbe indagare sul funzionamento del sistema amministrativo - il nostro per esempio - per capire dove stanno le falle, anziché limitarsi ai colori di un documento e la presenza sul nostro territorio di troppi ospiti con un passato molto ambiguo (e il recente arresto di parecchi esponenti della ’ndrangheta lo conferma) dovrebbe far riflettere seriamente sul problema. Gianni Rei, Pura

Risposta

Caro Gianni Rei, la questione del «colore» dei passaporti dei delinquenti tocca due problemi differenti, ma in un qualche modo legati. Il primo è l’impressione che ci siano più criminali stranieri che svizzeri in circolazione dalle nostre parti. Non entro nei dettagli della questione che ho già affrontato rispondendo a un’altra lettera, mi limito a ricordare che i dati non dicono esattamente questo e che comunque - se si vogliono evitare esemplificazioni razziste o, viceversa, troppo ingenuamente tolleranti - vanno interpretati con intelligenza. Il secondo, quello su cui ti concentri tu, mi fa pensare a quelle cronache giudiziarie da cui emergevano casi di funzionari corrotti che dietro lauto compenso falsificavano e rilasciavano permessi di soggiorno agli stranieri. Vicende da film con sistemi semplici e ingegnosi che consentivano di cedere documenti ufficiali senza lasciar traccia o quasi: il funzionario utilizzava dei profili compatibili con autorizzazioni già emanate, oppure giacenti, sui quali applicava le foto fornitegli da un complice e il gioco era fatto. Ma ci sono possibili sviluppi inquietanti, come appunto l’infiltrazione nel nostro Paese di elementi di spicco di organizzazioni criminali spietate. E, a un altro livello, gli ambiti quasi invisibili del riciclaggio di denaro sporco. O, ancora, della protezione dei conti degli oligarchi che sostengono regimi antidemocratici. Insomma, per ragioni intuibili la Svizzera attira gli interessi illeciti di molti stranieri, soprattutto ricchi. Fatale che qualche nostro connazionale si lasci corrompere. Si potrebbe fare di più? Certo. Per esempio cominciando a distinguere i profughi in fuga da guerre e miseria a cui cerchiamo di impedire l’ingresso in Svizzera in nome della nostra sicurezza, da quelli davvero pericolosi a cui spalanchiamo le porte perché possono permettersi di ricoprirci d’oro.