La Posta di Carlo Silini

Cercando qualche risposta al Grande Boh!

Scrivete a [email protected] con menzione «per Carlo Silini»
© CdT/Chiara Zocchetti
Carlo Silini
17.06.2022 06:00

«Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c’è la vita che io chiamo il mistero e del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio e se ci chiama... dobbiamo andare». Parole scritte da Karl Unterkircher, alpinista gardenese, prima di partire per il Nanga Parbat, nell’Himalaya, dove trovò la morte nel 2008. Sembra un testamento spirituale. Ma in sostanza è il semplice filo che lega un essere umano dalla nascita alla morte. Che è il momento più importante della vita. Gentile Carlo Silini, come possiamo vivere tenendo presente questa frase così lapidaria ma vera? Quando siamo in età giovanile il pensiero non ci pesa, ma in età avanzata è impossibile non tenerne conto. La cronaca ci mette davanti a morti premature: incidenti, atti violenti, malattie e fatti che accomuniamo «al destino». Quando sono particolarmente dolorosi o inspiegabili, «Dio ha voluto così», accettiamo la Sua volontà. Da sempre l’essere umano accetta questo «mistero del quale nessuno di noi ha la chiave». Il cristiano credente e praticante lo interpreta in modo quasi sereno, da accettare così come è piaciuto al Padre. Ma per chi non crede e conta solo sulla propria persona, la morte terrena può diventare una disperazione: non c’è la certezza di una vita oltre la morte. Già possiamo essere traumatizzati per la distruzione del nostro corpo in attesa della promessa resurrezione. Ma la scomparsa nel nulla è addirittura angosciante. Non pensa?

Giacomo Realini
Caslano
       

Caro Giacomo Realini, anch’io, da quando ho capito che fare i conti con la morte è non solo utile ma assolutamente necessario per vivere meglio, mi confronto al quesito dei quesiti, alla prospettiva ineluttabile di una soglia invisibile che noi e i nostri cari  dovremo prima o poi varcare. Per andare dove? La risposta (onesta) è un Grande Boh! Naturalmente ho trovato qualche parziale consolazione nelle visioni religiose: i cristiani e buona parte dei  monoteisti credono (ma ci credono?) nella resurrezione, i seguaci del  patrimonio spirituale dell’Oriente nel ciclo delle reincarnazioni. Al netto dell’entropia, mi aiutano anche le metafore legate alla natura, in cui tutto si trasforma e nulla si distrugge e il seme deve morire per portare frutto. Mi hanno poi illuminato i cari vecchi filosofi, come Epicuro, che nell’epistola a Meneceo scriveva che la morte in realtà non è nulla poiché «ogni bene e ogni male è nella sensazione, e la morte è privazione di questa. Per cui la retta conoscenza che niente è per noi la morte rende gioiosa la mortalità della vita; non aggiungendo infinito tempo, ma togliendo il desiderio dell’immortalità. Niente c’è infatti di temibile nella vita per chi è veramente convinto che niente di temibile c’è nel non vivere più». Una massima che può essere di grande sostegno anche a chi non è credente. Perché, alla fine, che la morte sia una soglia oltre la quale inizia davvero una nuova vita o il capolinea di un percorso più o meno felice tra gli esseri senzienti, ciò che mette quasi tutti d’accordo è che ogni goccia di vita acquista un senso sempre più profondo proprio perché prima o poi le gocce finiscono per tutti.