La posta di Carlo Silini

La nostra fragile e violenta famiglia umana

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Carlo Silini
21.04.2022 06:00

Caro signor Silini, faccio una premessa, ho 83 anni e quindi è possibile che qualche cosa mi sia sfuggito. La prego pertanto di illuminarmi un po’ sulla questione che mi assilla da tempo. Recentemente si è parlato parecchio (e giustamente) dell’Olocausto… Più che necessario, soprattutto nel Giorno della memoria. Ma qui sta la mia perplessità. Per quel che riguarda l’oscenità dei lager se ne parla (e come se ne parla), ma per i gulag? I lager son stati chiusi, ma l’arcipelago gulag esiste ancora! Mi sa dire quanti arcipelaghi gulag ci sono ancora sparsi per il mondo? E poi, ci sono forse vittime di serie A e vittime di serie B?

Marisa Delmenico, Lugano

La risposta

Cara Marisa Delmenico, abominevoli erano i lager nazisti e abominevoli sono stati i gulag sovietici. Gulag, del resto, è un acronimo che significa «Glavnoe upravlenie lagerej», cioè Direzione generale dei lager.Oggi, però, non ne esistono più. Ufficialmente il sistema Gulag fu soppresso nel 1960 dal Ministero degli affari interni sovietico, ma colonie di lavoro forzato per prigionieri politici e criminali continuarono ad esistere almeno fino al 1987. Sì, il termine gulag viene ancora usato, ma senza legami con l’URSS, ad esempio per riferirsi a quelli nordcoreani (Kwalliso) o a quelli cinesi (Laogai). Lei però mi pone un’altra domanda: come mai il crimine dell’Olocausto fa ancora così tanto rumore e quello dei gulag molto meno. Le rispondo con le parole di Primo Levi, che accettò di paragonare i due fenomeni: «Il primo (il Gulag) era un massacro fra uguali; non si basava su un primato razziale, non divideva l’umanità in superuomini e sottouomini: il secondo si fondava su un’ideologia impregnata di razzismo. Se avesse prevalso, ci troveremmo oggi in un mondo spaccato in due, “noi” i signori da una parte, tutti gli altri al loro servizio o sterminati perché razzialmente inferiori». Ciò detto, mi piacerebbe dirle che non esistono vittime di serie A e vittime di serie B. Ma credo che il nostro sguardo cambi in modo meccanico e irriflesso a seconda del punto di vista da cui le osserviamo. Consideriamo con maggior commozione le persone schiacciate, abusate e uccise che sentiamo a noi affini, mentre tendiamo a sentirci meno coinvolti da quelle che «non ci assomigliano». È triste, ma c’è un po’ di «primanostrismo» anche nella percezione delle vittime. I «nostri» possono assomigliarci per etnia, colore della pelle, religione, idee politiche, perfino per lo status sociale... Tutti aspetti nei quali possiamo facilmente immedesimarci: colpisci il mio simile, colpisci me. Colpisci il mio dissimile, amen. Ci sono arabi o filo-arabi che non piangono la morte di un soldato israeliano, e israeliani o filo-israeliani che non versano una lacrima per un palestinese cui sia toccata analoga sorte. Eppure son morti male tutti e due, avevano analoghe famiglie, sentimenti, intelligenze e sogni. In realtà dovremmo piangere tutte le vittime di ogni colore e tendenza, perché gli assomigliamo in ciò che di più profondo ci connota, la specie umana. Siamo tutti fratelli di una stessa fragile e violenta famiglia.