La posta di Carlo Silini

Per qualcuno salire sul bus è come scalare l’Everest

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Carlo Silini
14.02.2022 06:00

Fin dove ci si può spingere in nome della sicurezza, della velocità, del risparmio di spazio, ovvero, fin dove si può chiudere, sigillare, restringere, soffocare, senza tener conto dei disagi di chi soffre di claustrofobie, ansie e altre forme di disturbi ingestibili in strutture e mezzi nei quali peraltro servirà sempre più osservare un necessario distanziamento sociale, e dove la circolazione d’aria renderebbe salutare gli ambienti? Penso a gallerie ferroviarie, a treni e bus con finestre ermetiche, a funicolari di cristallo con chiusure stagne, mezzi sovraffollati, porte vetrate di poste e banche antiproiettile a blocchi e comparti, palazzi con le finestre murate... Si punta ad ambienti urbani privi di barriere architettoniche e a trasporti sicuri, ma nessuno si preoccupa di creare agevolazioni per chi soffre di patologie psichiche. Non esistono solo situazioni invalidanti fisiche, ma anche mentali. Serve una sensibilità verso questi problemi, oggi forse più che mai, dato che la pandemia ne mostra nuovi limiti. Eppure non se ne parla. Che cosa ne pensa?

Manuela Mazzi, Minusio

La risposta

Cara Manuela Mazzi, la sua lettera mette sotto i riflettori i disagi invisibili di moltissimi individui spesso del tutto incompresi dal resto della società cosiddetta «sana». Ho avuto a che fare con una persona che aveva attacchi di panico, un disturbo che può invalidare pesantemente la vita quotidiana. Si sentiva di colpo in trappola quando si trovava al supermercato, per esempio, e doveva avere una via di fuga immediata perché le mancava il fiato. Mollava i sacchi della spesa e usciva a rotta di collo in cerca d’aria. Vivendo in modo indiretto questa esperienza mi sono reso conto di quante persone soffrono attorno a noi senza che ce ne rendiamo conto e di quanto gesti e situazioni che alla maggioranza delle persone sembrano scontate (come salire al terzo piano di un edificio per entrare in un ufficio) per altre sia come scalare l’Everest senza bombole d’ossigeno. Oggi le riconosco: passeggiano avanti e indietro davanti al negozietto (evitano locali grandi e affollati), prendono il fiato ed entrano in fretta e furia non appena esce l’ultimo cliente. A volte escono en catastrophe perché subito dopo di loro è arrivato un gruppetto di persone. Attorno a noi c’è un mondo invisibile di donne e uomini, ragazze e ragazzi, e soprattutto anziani che si muovono con assoluta circospezione. Prima di muoversi devono calcolare le forze, le esatte distanze, le possibilità di sedersi strada facendo, le uscite di sicurezza, gli orari meno affollati, la temperatura... Mentre tutt’intorno nessuno sembra accorgersene, ogni giorno lottano come titani per un finestrino aperto, una porta sul retro o una panchina libera a pochi metri. Sono situazioni private e drammatiche che richiedono tutta l’arte e la scienza degli specialisti della psiche a cui è bene affidarsi in questi casi. Quanto a noi che non le viviamo, più che a eliminare barriere architettoniche o simili, dovremmo toglierci il paraocchi dell’insensibilità e abituarci a pensare che per qualcuno mettersi in fila o salire su un bus è una conquista eroica.