L'erba vera e la Coppa

Domenica prossima la finale promette bene. Il Lugano gioca al Wankdorf di Berna contro una bella squadra in salute come il San Gallo e non, come per l’ultima finale del 2016, al Letzigrund di Zurigo, in casa di una squadra dimessa e incattivita poiché già relegata in Serie B.
Potrà essere una bella festa fra due squadre che fra di loro hanno sempre avuto una buona sintonia. Poi una finale si può anche perdere, a patto che vinca il migliore e che il risultato non venga condizionato da un arbitraggio o da una prestazione VAR insufficienti, così come è stato il caso ad esempio dell’ultimo Lugano - Grasshoppers, con un fuorigioco più che discutibile e un evidentissimo fallo di mano in area misteriosamente non ravvisato.
Gli arbitri sono a nostro avviso un anello debole della catena del calcio svizzero, che vista la qualità tutt’altro che disprezzabile meriterebbe arbitri più performanti a cominciare dalla condizione fisica. Si osservi ad esempio come sono «tirati a lucido» gli arbitri del campionato italiano: il confronto con i nostri fischietti è spesso impietoso.
Per la finale confidiamo in ogni caso in una buona prestazione dell’arbitro lucernese Urs Schnyder e dell’assistente principale al VAR Esther Staubli, la quale ha arbitrato, in maniera piuttosto discutibile, il Lugano-Grasshoppers di cui sopra. È la seconda volta che usiamo l’aggettivo «discutibile», che specialmente nel mondo del calcio rappresenta un gentilissimo eufemismo.
Ma tornando allo spirito della Coppa Svizzera vale la pena sottolineare che si tratta, oltre che di una festa, di un trofeo di grande tradizione da sempre molto sentito. Sul modello della Coppa d’Inghilterra, meno della Coppa Italia che si è davvero imposta solo negli ultimi anni.
Il confronto fra Lugano e San Gallo è purtroppo molto sbilanciato per quanto riguarda il pubblico abituale dei rispettivi sostenitori: al Kybungpark (bello stadio inaugurato nel 2008, con ventimila posti a sedere) si è praticamente sempre sopra i diecimila spettatori, mentre a Cornaredo (vecchio stadio inaugurato nel 1951) si è spesso sotto i tremila. A Lugano è quindi stata sorprendente l’apertura della caccia al biglietto per la finale, con relativa lunghissima coda, se paragonata ai pochi spettatori sui quali anche l’ottima squadra di questo campionato può solitamente contare. In vista del nuovo stadio vi è senz’altro già fin da ora materia di riflessione per la nuova dirigenza, che deve preoccuparsi fin da subito di due parole chiave quali «identità» e «giovani».
E a proposito di nuovi stadi è incredibile la trasformazione in atto al Santiago Bernabéu di Madrid, con un campo di calcio avveniristico e la superficie erbosa (si badi bene, non sintetica) che va a «nascondersi» in cinque moduli disgiunti fino a trenta metri di profondità, per lasciare spazio in superficie a tanti altri tipi di pavimentazioni e tribune modulari per altri sport (tennis e basket in contemporanea ad esempio) o altri avvenimenti (congressi, sfilate, concerti, ecc.). In questo modo uno stadio che vive(va) trenta giorni all’anno può immaginare di viverne trecento. Per avere un’idea di questa straordinaria impresa si può digitare in Google «Bernabeu renovacion» e guardare su YouTube il video del 5 novembre 2021.
Altri mondi, altre dimensioni, ma qualcosa da imparare c’è anche nel nostro piccolo, al di là del fatto che l’erba del vicino pare sempre più verde. Ecco, speriamo che l’erba sintetica del Wankdorf ci porti fortuna ma che nel Cornaredo del futuro si opti per l’erba vera. Se a Madrid se la coccolano pure sottoterra con luci, ventilazioni e irrigazioni artificiali una ragione ci sarà.