La posta di carlo silini

Paladini di giustizia sonnecchiano dentro di noi

Nel graffito, l’abbraccio ideale tra Zaky, davanti, e Regeni, dietro.
Carlo Silini
13.01.2021 06:00

Ed eccoci ad un nuovo anno. Senza nessuna pretesa analitica vorrei condividere due pensieri che mi accompagnano in questi giorni. Ex abrupto, con la globalizzazione economica abbiamo sperato in una globalizzazione della democrazia «di riflesso», ma basta leggere cosa succede in Egitto ad un universitario che desidera un po’ di giustizia e che viene trattenuto in carcere senza alcuna legittimazione o ad un liceale cinese che afferma di credere in Dio e viene tenuto in piedi durante le lezioni in fondo all’aula per trenta giorni, per rendersi conto che l’espressione «governi democratici» non è affatto chiara. D’altra parte, le notizie dal mondo rischiano di turbarci sul momento ma lasciarci inerti in una sorta di generica impotenza. Che ne pensa?

Dorothy Sciotti Gabucci, Ponte Capriasca

La risposta

Cara Dorothy Sciotti Gabucci, gli esempi specifici che cita mi sembrano soprattutto l’espressione di una piaga che non siamo mai riusciti a rimarginare in molte parti del pianeta: la sistematica violazione dei diritti umani.

La cosa più triste è che nella maggior parte dei casi ce ne rendiamo conto solo quando gli abusi toccano persone che vengono dai nostri Paesi, come avvenne nel caso dell’italiano Giulio Regeni, o che comunque hanno avuto a che fare con noi, come in quello di Patrick George Zaky, attivista e ricercatore egiziano che però stava frequentando un master internazionale in Studi di genere all’università di Bologna. Oppure ce ne accorgiamo quando sentiamo che ad essere vilipesi sono i nostri simboli e la nostra cultura, come nel caso dell’adolescente Xiaoyu che per oltre un mese ha fatto lezione stando in piedi, in punizione perché crede in Dio e perché ha osato sfidare la sua insegnante che voleva convincerlo dell’inesistenza di un essere supremo.

Dobbiamo essere grati alla tenacia degli attivisti di Amnesty International e di molte altre ONG, così come ai giornalisti di Asianews, di Reporter Senza Frontiere e di altre analoghe organizzazioni che portano all’attenzione dell’Occidente casi come quelli che lei ha citato. Ma è avvilente pensare che occorrano situazioni che toccano i nostri simili (per provenienza o per cultura) per risvegliare il paladino della giustizia che sonnecchia in noi. Spero di sbagliare e sono certo che quanto sto per dire non riguarda l’autrice della lettera di oggi, ma a volte ho l’impressione che l’indignazione dell’opinione pubblica abbia più a che fare con l’orgoglio identitario ferito che con l’etica universale dei diritti. Come mai innumerevoli altre violenze su poveri Cristi stranieri, lontani e/o di cultura diversa dalla nostra sfuggono al radar dei media, e quindi all’attenzione della nostra coscienza intorpidita? Questione di «impotenza» o di «indifferenza»?