Saper bere

Il bere con moderazione, è un’arte da non mettere da parte, come lo è il mangiare bene e sano. C’è la soddisfazione di rimirare entro un calice il robusto colore rosso rubino di un vino d’annata invecchiato in robuste botti di rovere nella quiete e nella oscurità delle cantine e di assaporare il soave profumo che esso emana: il profumo e il sapore della nostra terra. Le case vinicole ticinesi producono eccellenti qualità di vino locale, tra il rosé, bianco e rosso Rinomato il Marchio DOC «Merlot-Ticino» che, tra l’altro, ha ricevuto molti riconoscimenti, tra cui al «Mondial du Merlot» ed al “Gran Prix du vin Suisse», e altri prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali, e che - a chilometro zero - veicola il nome e l’immagine del Ticino in Svizzera, in Europa e in tutto il mondo, ed è pur sempre concorrenziale con i vini esteri importati.
Un vino pregiato e di alta qualità che presenta una grande morbidezza al palato, con tannini ben integrati. Prodotto da uva bianca accuratamente scelta vinificate con una pigiatura soffice ed una fermentazione a temperatura controllata, come, per esempio, il bianco di «Merlot Cherubino». Il rosso rubino con riflessi violacei e di profumazione intensa, vanigliata e vinosa, leggermente speziato con sentori di prugne secche e more, è una delizia per il palato.
Una bottiglia di vino al ristorante, in taluni casi, può sensibilmente lievitare il costo. Per cui occhio alla qualità- prezzo, anche se bisogna spendere qualche franchetto in più per bere un buon bicchiere di vino. Ne vale pena!
Centellinando pregiati brandy poi, dentro la coppa dorata maturati nel loro lungo invecchiare, si gusta piacevolmente un dolce nettare che ci fa sognare a occhi aperti: naso occhi e palato verrebbe da dire – come scrisse un saggio che queste delizie «bevono insieme» a noi; «ci tirano su» di giro.
Un sapiente dell’antichità dette a un curioso che gli aveva chiesto quanto si può bere rispose: «Non troppo spesso e non troppo raramente, non pochissimo e non troppo…». Potrebbe sembrare, questa, una battuta facile, o una sentenza buttata là tanto per dire qualcosa, oppure che non dice nulla. Ma, in fondo, c’è qualcosa di vero nelle parole di quel sapiente, perché è dimostrato che il saper bere è più difficile che il saper mangiare. S’è detto che il saper bere è un’arte, praticata presso tutti i popoli e le culture dell’antichità, fino ai nostri giorni. Certo, se Orazio fosse vissuto qualche secolo più tardi, avrebbe certamente elogiato e cantato, non solo il vino, ma l’acquavite vite, distillata dai nostri viticoltori, bevanda ritenuta sin dall’antichità il rimedio naturale contro le malattie.
L’opinione di molti scienziati e medici di fama mondiale non è molto diversa, tant’è che un grande luminare della scienza medica, il prof. Ulrich di Aichelburg non esitò ad affermare: «È meglio un po' di alcol che le pastiglie di tranquillanti». Da par suo, Orazio, venti secoli prima, disse: «A chi non piace il vino - Dio tolga anche l’acqua». Anche l’Apostolo Paolo in una sua famosa epistola a Timoteo Vescovo di Efeso sentenzia: «Utere medico vino proptet stomahum et frequentes infermitates».
Altri a noi contemporanei sono concordi nell’affermare che l’alcol abbassa notevolmente lo stato di tensione nervosa, mentre il cardiologo, prof White, che ebbe in cura l’ex presidente USA Eisenhower, sentenziò che il brandy può alleviare e addirittura prevenire l’angina pectoris. Altri ancora, come Papa Paolo III, erano soliti bere un solo bicchiere in piccoli calici adatti per il rosolio, mentre Filippo II e l’imperatore Carlo VI usavano bicchieri di birra incuranti delle raccomandazioni imposte loro dall’archiatra di corte alla moderazione.
Gabriele d’Annunzio, invece, teneva sempre a portata di mano sul suo tavolo di lavoro un Acquarzente distillato dai vini dell’Istria, che era il suo brandy preferito. Anche il sottoscritto nel bar di casa (ben fornito!) e in quello più piccolo che c’è nello studio, incurante dei brontolii della padrona di casa, tiene, a portata di mano, la sua piccola riserva di «carburante…». Che conta, non è la quantità che si beve, ma la genuinità del prodotto. È vero, bere del buon vino si può… Recita una melodia popolare: «Il vino fa cantare». E ancora: «Chi è che dis ch’el vin al fa mal, l’è tutta gente dell’ospeda» …
Chiosano queste brevi e incomplete divagazioni a ruota libera, sul vino e sui distillati, che i “bevitori di classe» amano definire «un raggio di sole in un bicchiere», non mi resta altro che concordare con loro che «il mondo sarebbe un piccolo paradiso».