Territorio

Memorie del Ticino che fu

Il Museo della Memoria e l’importanza di preservare per le nuove generazioni le testimonianze di un’epoca di cui resta solo il ricordo
Piazza Riforma in una cartolina d’epoca © Collezione Roberto Knijnenburg
Michele Castiglioni
10.03.2023 11:00

È nato nel 2010 come progetto intergenerazionale da un’idea di Elio Venturelli con lo scopo di raccogliere, conservare e, soprattutto, tramandare la memoria del nostro territorio alle nuove generazioni e, più in generale, a chiunque avesse un interesse personale o professionale nella storia del Cantone Ticino. Un progetto di grande utilità che è partito con l’intento di collaborare con scuole e istituzioni, offrendo testimonianze dirette da parte dei nostri anziani dei tempi passati e di come era la vita nel nostro territorio in tempi che oggi rimangono solo in vecchie immagini in bianco e nero, in altrettanto vecchi libri, in rari(ssimi) filmati d’epoca e… nella memoria dei nostri vecchi, le cui fila si assottigliano per natura.

Il lungolago di Lugano nel 1900 © CollezioneRoberto Knijnenburg 
Il lungolago di Lugano nel 1900 © CollezioneRoberto Knijnenburg 

Ma come preservare e rendere disponibili queste preziose testimonianze alle future generazioni se non raccogliendole in un archivio consultabile? Attraverso la creazione di un Museo della Memoria, promosso dall’ATTE, l’Associazione Ticinese Terza Età. Museo che, come recita il testo di presentazione sul sito de La nostra storia che ospita attualmente l’archivio online, «si è evoluto in un progetto più ampio, grazie alla collaborazione di enti pubblici o privati e di singole persone disposti a tramandare testimonianze significative sulle trasformazioni nel tempo della realtà della Svizzera italiana. Oggi il Museo della Memoria raccoglie numerosi documenti raggruppati in molteplici dossier». In questo modo negli anni è stato raccolto e prodotto moltissimo materiale, tra video, foto, scritti e quant’altro, ma questo ha fatto anche sì che, nel 2016, sia stato necessario costituire, sempre su base volontaria, dei veri e propri gruppi di lavoro per gestire ed organizzare il progetto.

Attualmente il Museo della Memoria prosegue la sua attività, anche se per vari motivi (non ultimo il periodo pandemico) alcune cose sono cambiate, rispetto alle origini, come conferma Mariagrazia Bonazzetti Pelli, che da due decenni si spende, insieme ad un gruppo di volontari, offrendo il suo prezioso contributo per creare documenti video da aggiungere all’archivio. «Innanzitutto, ci sono stati alcuni importanti interventi di tipo tecnico, soprattutto per far fronte alla quantità sempre maggiore di materiale disponibile, man mano che veniva raccolto e prodotto e per renderlo fruibile facilmente. Per questo ci siamo spostati sul sito “lanostrastoria.ch”, usufruendo così di una infrastruttura migliore. D’altra parte, è un progetto nato proprio per questo: raccogliere materiale e far sì che tutti, soprattutto le nuove generazioni possano consultarlo». Va anche detto che il materiale è tantissimo, visto che il Museo virtuale raccoglie storie della gente comune, non quella dei “grandi personaggi” di cui già si parla nei libri di storia. Sono storie di vita vissuta, di professioni antiche e talvolta ormai scomparse, di abitudini ancestrali che si riferiscono ad epoche cronologicamente distanti, ma culturalmente sempre vicine, che hanno contribuito a definire il nostro Cantone. «Andiamo ad intervistare – continua Mariagrazia Bonazzetti Pelli – persone che hanno avuto una vita così ricca e piena che vale la pena che la loro memoria resti. Ma non solo, raccontiamo di eventi, di esperienze, di oggetti: tutto contribuisce al Museo della Memoria. Ed ecco perché abbiamo tantissimo materiale». Tra il 2019 e il 2020, c’è stato un intervento di «ammodernamento» della struttura informatica, in modo che diventasse più facile da gestire e da consultare. «Nel frattempo è nata La nostra storia e grazie al responsabile Lorenzo de Carli abbiamo potuto mettere in piedi una collaborazione proficua per entrambi. Ma rimane un progetto che viene curato su base volontaria, quindi se in realtà i contributi arrivano da molte persone come insegnanti, privati cittadini e collezionisti, poi, però, lo “zoccolo duro” delle persone che gestiscono attivamente gli archivi è costituito da un piccolo gruppo».

La Civica filarmonica di Lugano alla Festa Internazionale di Musica di Basilea (1905) © CollezioneRoberto Knijnenburg
La Civica filarmonica di Lugano alla Festa Internazionale di Musica di Basilea (1905) © CollezioneRoberto Knijnenburg

Ma che progetti ci sono attualmente in essere? «Anzitutto dobbiamo mantenere tutto quello che già abbiamo», risponde Mariagrazia Bonazzetti Pelli «e, visto che siamo in pochi, questo rimane l’impegno più grande. Anzi – aggiunge sorridendo – qui ne approfitto per fare un appello a chiunque volesse darci una mano: siete tutti benvenuti! ([email protected] per informazioni, ndr.). Anche perché per noi la pandemia è stata un duro colpo: prima di tutto non potevamo andare ad intervistare le persone che potevano darci le loro testimonianze, che sono soprattutto anziani e quindi più vulnerabili e questo ha sostanzialmente fermato le attività. E poi, è brutto dirlo, si è anche portata via molte persone che spesso erano le ultime depositarie di ricordi ed esperienze. Mi viene in mente, ad esempio, (anche se non è stato una vittima della pandemia nello specifico) l’intervista che ho fatto a Cesare Generelli, l’ultimo spazzacamino dei tempi che furono, uno di quelli che si calava veramente nelle canne fumarie: ciò che mi ha raccontato lui oggi non potrebbe più farlo nessuno. Ma per quanto riguarda i nostri progetti il principale rimane quello di mantenere vivo il Museo: noi andiamo avanti seguendo quelle che sono le nostre inclinazioni e le nostre esperienze, incontrando persone e cercando di raccogliere il più possibile documenti e testimonianze».

Insomma, il Museo della Memoria è un ricco archivio pronto da essere consultato. Ma c’è anche qualche problema: «purtroppo alcune attività hanno perso vigore negli anni, come la collaborazione con le scuole, ed è un peccato. In parte questo avviene, come detto, per la mancanza cronica di personale e in parte poiché l’archivio digitale può essere consultato online facilmente da chiunque e quindi anche dalle scuole e quindi c’è sempre meno la necessità di organizzare incontri e testimonianze “di persona”. Certo ci sono saltuariamente iniziative che partono dai singoli insegnanti, con la conseguenza che anche i progetti sviluppati nelle scuole poi finiscono per entrare nell’archivio del Museo. Però non è una cosa sistematica». Speriamo, aggiungiamo noi, che questo non sia anche un segnale di mancanza di interesse verso una memoria che va invece non solo preservata, ma anche condivisa perché sia utile ad interpretare il presente e affrontare il futuro.

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