Nelle terre degli etruschi alla ricerca delle nostre anime

Alice Rohrwacher fa parte di quel (poco numeroso) stuolo di cineasti e cineaste che in occasione di ogni nuovo film, invitano lo spettatore a seguirli dentro un loro mondo molto intimo e personale, retto da regole particolari che solo in parte (o per nulla) ricalcano quelle della realtà in cui viviamo. Da Tim Burton a Fellini, da Wes Anderson a Godard, esempi simili non mancano nella storia del cinema, di cui rappresentano un filone affascinante e prezioso, slegato da qualsiasi idea di genere e persino dal concetto di autorialità. Con le sue precedenti opere - Corpo celeste (2011), Le meraviglie (2014) e Lazzaro felice (2018) - la regista toscana ci ha indicato alcune chiavi in grado di aprire una parte delle tante porte del suo labirinto creativo. E questo discorso in progress prosegue ora con La chimera, coproduzione italo-svizzera (con Amka Films e RSI) ambientato - come i due film precedenti - nella provincia «selvaggia» dell’Italia centrale, popolata di personaggi e situazioni curiosi, dove si respira un’atmosfera magica, a tratti fiabesca, in grado di metterci in comunicazione con un universo misterioso collocato nel passato e quindi, inevitabilmente, anche dentro noi stessi.
Animale mitologico
Tutti possiamo quindi definirci delle «chimere», ovvero, come insegna la mitologia, degli animali composti da parti di corpi (e di anime) di diversi esseri viventi. Arthur (il protagonista del film, interpretato dall’attore britannico Josh O’Connor) è ad esempio un curioso incrocio tra un rabdomante e un archeologo, capace di «sentire» quando sotto i suoi piedi si celano i cunicoli o le tombe che racchiudono i preziosi reperti della civiltà etrusca. Questo fiuto lo rende molto popolare tra i tanti tombaroli della regione, interessati unicamente al vil denaro e guidati dall’invisibile ed abile Spartaco. Arthur invece pare alla ricerca di qualcosa di più profondo: una vocazione (quella di accademico) o un amore (quello di Beniamina, la fidanzata scom-parsa durante un viaggio in capo al mondo) perduti per sempre. Alice Rohrwacher lascia nel vago molti elementi della vicenda, preferendo dare suggerimenti invece che certezze allo spettatore. Il personaggio della madre di Beniamina (interpretato da Isabella Rossellini) e quello della sua badante Italia (Carol Duarte) sono gli esempi più lampanti di questa strategia narrativa che si affida (con successo) alla suggestione delle immagini (firmate da Hélène Louvart e girate in pellicola), delle canzoni (Battiato ma non solo) e della musica, lasciando in secondo piano la razionalità. Un battello a vapore che naviga sulle placide acque del lago dei Quattro Cantoni diventa così il teatro di un’asta nel corso della quale i preziosi reperti etruschi vengono venduti muniti di falsi certificati di provenienza. Solo Arthur cercherà di ribellarsi a questa logica del profitto e continuerà a cercare, nelle profondità della terra ma non solo, ciò che gli manca di più: l’amore.