La testimonianza

Correva il 1968

Gli aneddoti di Vincenzo Brenna, una delle bandiere del Lugano che trionfò nella finale di Coppa Svizzera
Marco Ortelli
15.05.2022 06:00

Mostro a Vincenzo Brenna l’immagine che vedete sopra: lui stesso, Lusenti, Coduri, Chiesa - e la coppa - corrono sorridenti… Che effetto le fa? Sale la commozione. Vincenzo evoca a fil di voce anche agli altri giocatori, oltre a Lusenti, che non ci sono più... «Signorelli, Pullica, Luttrop... Una squadra, quella del ‘68 e a seguire, che anno dopo anno, almeno una volta all’anno ha continuato a ritrovarsi fino ad oggi, come un rituale, per un pranzo, una cena, una trasferta da qualche per stare insieme…», commenta una delle grandi bandiere del FC Lugano, maglia indossata per 16 stagioni. Per dire della forza che legava e lega quel gruppo vincente, a partire dalla fine degli anni Sessanta.

«Bella vittoria, ma domani si lavora»

15 aprile 1968. Lugano-Winterthur 2-1. Luttrop all’11’. Pareggio di Dimmeler al 46’. Rete della vittoria di Simonetti al 77’.

Avrebbe voluto essere lui a infilare il portiere del Winterthur Franco Caravatti, autore peraltro di un intervento decisivo proprio a seguito di un tiro di Brenna che egli aveva intercettato con la mascella, ma è andata benissimo anche così. «L’è staja ‘na battaglia – osserva l’attaccante bianconero -. Siamo entrati in campo sicuri di vincere e invece il Winterthur si era dimostrato molto forte, con giocatori del calibro di Fritz Kehl, difensore e nazionale e del fuoriclasse tedesco Timo Konietzka (famoso per essere stato l’autore della prima rete della storia della Bundesliga, al primo minuto della partita tra Borussia Dortmund e Werder Brema del 24 agosto 1963, ndr). Io e Coduri non abbiamo smesso un attimo di incitare i noss soci». Tra gli episodi, Brenna ricorda che a un certo punto della partita «dissi al mio collega all’ala sinistra di spostarsi a destra, perché il difensore che mi marcava non mi mollava un attimo e io non vedevo la palla». Un cambio del quale si era accorto anche l’allenatore, «Monsieur» Louis Maurer. «Mi chiamava… Vincenzo, que fais-tu? Viens ici!».

Dopo i festeggiamenti sul campo, il rientro negli spogliatoi. «Qui Maurer prese in consegna le nostre medaglie che ci avrebbe ridato a Lugano». Viaggio in treno, finché a Bellinzona, alla richiesta dei giocatori della restituzione delle preziose medaglie, colpo di scena. «Sparite – osserva l’attaccante numero 11. Maurer aveva collocato il ‘malloppo’ nel vano di una carrozza… postale che era stata staccata dal convoglio e così, invece di prendere la direzione del Ticino la borsa aveva raggiunto Zweisimmen, nell’Oberland bernese. Fortunatamente, una postina del luogo aveva dedotto che fossero le nostre medaglie e così le aveva poi spedite a Lugano».

Lugano ovviamente impazzita di gioia e di festeggiamenti quella sera. «Ma mi sum nai sübit a cà – commenta Brenna -, perché il mattino alle 6 e 30 avevo un lavoro da svolgere in un grande edificio di Piazza Dante per l’impresa Malfanti, di cui ero dipendente. Poi, l’è vera, non è che abbia fatto molto perché tutti mi avvicinavano per congratularsi con me». Siamo certi che il presidente del FC Lugano Cecchino Malfanti, titolare dell’impresa, quel giorno avrà chiuso almeno un occhio.

Quando al St. Jakob abbiamo visto che ad arbitrarci sarebbe stato ancora Droz ci siamo guardati in faccia…

Quella bara alla stazione di Bellinzona

12 aprile 1971. Servette-Lugano 2-0. Al 55’, il bomber Dörfel tira un rasoterra dal limite che colpisce il palo destro, la palla rimbalza sulla schiena del portiere Mario Prosperi e ballonzola verso l’area di porta, sopraggiunge Desbiolles che infila l’1-0. All’87’ raddoppio di Marchi liberatosi in area. Ciao Coppa. Il prepartita era stato turbolento ed era ruotato attorno alle figure di Otto Luttrop – non in perfette condizioni fisiche - e dell’allenatore Albert Sing. «Una parte della squadra lo voleva in campo, un’altra era di parere diverso»– commenta Brenna. A me venne assegnato l’11, un numero che odiavo. In campo ho dato tutto, ma loro erano proprio forti!». Una sconfitta amara.

Ed ecco che dall’album della memoria il numero 11 estrae uno dei suoi guizzi, un episodio che pare uscito da un film con Don Camillo e Peppone, o simile alle pernacchie disseminate nel film Amarcord di Federico Fellini. «Scrival sül giurnal... Arriviamo alla stazione di Bellinzona e sulla banchina notiamo che i signori bellinzonesi per salutarci hanno messo una cassa da morto». Attorno, nessuno.

Se nel ‘67 ci fosse stato il VAR

Ultimo episodio di Coppa Svizzera. Con Vincenzo Brenna retrocediamo al 1967, anno in cui il Lugano raggiunge la semifinale contro il Basilea. Cornaredo gremitissimo. «Una pünizion dal Luttrop viene deviata in area con il pugno dal difensore Michaud. L’arbitro Droz di Marin (ora frazione di La Tène, nel canton Neuchâtel, ndr), pensa che l’è nai sü da testa e non assegna il rigore». La partita finisce 0-0 dopo i supplementari e – secondo la regola di allora – deve essere rigiocata a Basilea. Vincono i renani 2-1 davanti a 51 mila spettatori. «Quando al St. Jakob abbiamo visto che ad arbitrarci sarebbe stato ancora Droz ci siamo guardati in faccia…».

Vincenzo Brenna, bianconero dal 1965/66 all’80/81, 4 presenze in nazionale, è stato un calciatore dotato di uno scatto fulminante. Nel corso della sua carriera si è distinto per personalità e carisma, sia in campo, sia nello spogliatoio. Sapeva anche scagliare rasoiate verbali e di certo non era uno che le mandava a dire.

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