«Grazie alla poesia con poche parole posso esprimere grandi concetti»

Stella N’Djoku è una poetessa e intellettuale ticinese, nata a Locarno da madre svizzera di origini italiane e padre svizzero-congolese. Ha studiato filosofia, specializzandosi in filosofia delle religioni. Ha pubblicato una raccolta di poesie e ha visto i suoi versi tradotti in varie lingue. Con un fare pasoliniano è in grado di riprendere – come con una macchina da presa in mano – ogni singola peculiarità, celata emozione, cambiamento, senza scivolare mai nel ridondante o nascondere la sua identità: è lei in ogni verso. Oggi racconta il suo percorso artistico e personale, le sue fonti di ispirazione, le sue riflessioni sul ruolo della poesia e della cultura nella società contemporanea.


L’essenziale
«Scrivere in poesia per me è dire tanto con poco», afferma Stella N’Djoku, che ha esordito nel 2019 con la raccolta Il tempo di una cometa (Ensemble), un libro che esplora il tema della diversità e dell’identità attraverso un linguaggio semplice ma criptico, ricco di immagini e suggestioni. «La poesia è una dimensione che rimanda all’essenziale, mi permette di osservare ogni singola cosa nel dettaglio, il ritorno all’essenza prima ancora che alla sostanza». Tant’è che la poetessa si definisce una «osservatrice attenta» che cerca di guardare ciò che avviene attorno a lei con uno sguardo diverso, capace di cogliere il senso profondo e universale anche dei piccoli cambiamenti, lenti ma significativi: «Durante la pandemia ho scritto poesie su quello che vedevo sul mio balcone: la lentezza della chiocciola sull’erba. Finalmente avevo il tempo di fermarmi e osservare metamorfosi e soffioni». È in questo modo che Stella arriva ai suoi lettori: raccontando ciò che vede, sente, conosce, «provando anche a lasciare sensazioni positive in chi legge», confida.
La poetessa oggi
Essere una poetessa oggi, in particolare in Ticino, è per Stella N’Djoku essere «come in una nicchia nella nicchia», scollegata in parte dalla realtà editoriale italiana e allo stesso tempo inserita in un panorama letterario forse meno ampio ma unico e preziosissimo. «Oggi forse è ancora troppo presto per dire che esiste una poesia delle persone. Trovo che abbia ancora senso promuovere le voci femminili, che spesso rimangono più nascoste». Tuttavia, nonostante le difficoltà, ha ricevuto un riscontro positivo da parte del pubblico e della critica, sia in Svizzera che all’estero. Infatti, le sue poesie sono state tradotte in spagnolo, inglese, francese, tedesco e portoghese, grazie all’interesse di alcuni poeti e traduttori che hanno letto i suoi testi e se ne sono innamorati.
«Inizialmente non potevo crederci, è stato un grande riconoscimento per me», confessa Stella N’Djoku, che non si aspettava un tale successo. «Quando poi sono uscite le traduzioni non riuscivo più a rendermi conto di cosa stesse accadendo. Non avevo più controllo su nulla, potevo solo dirmi: «questo testo è arrivato anche lì». C’è tutto un humus che si sta creando attorno a me, ma io, in realtà, sono sempre quella di prima: forse un po’ più consapevole».
Esistono ancora gli intellettuali?
La poetessa ammette di avere ancora “la sindrome dell’impostore” e di fare fatica a presentarsi come poeta o intellettuale. «Prima dico quello che faccio come professione: lavoro in università, in televisione…», dice. Secondo lei, questo dipende anche dal fatto che il ruolo dell’intellettuale nella società attuale è molto più debole rispetto al passato, quando figure come Pasolini, Fallaci o De Crescenzo avevano una voce autorevole e influente. «Oggi il poeta viene interpellato da altri poeti o da “addetti ai lavori” nei festival, ma difficilmente ha una grande eco», riflette Stella N’Djoku. Un peccato, insomma, anche perché, in questo modo, si è sempre più abituati «a contenuti che non sempre aiutano la creazione ed evoluzione di un pensiero articolato proprio e questo può allontanare i fruitori, soprattutto i più giovani, che sono nell’età delle domande: cosa fanno, se poi nessuno li aiuta a cercare risposte o a trovarne di nuove?».


La rivoluzione
Per contrastare questa tendenza, la poetessa ha provato a fare qualcosa di diverso nelle scuole, dove ha insegnato religione per cinque anni, cercando di stimolare i ragazzi a pensare in modo critico e autonomo, a dare ragione delle loro opinioni, a confrontarsi con le questioni fondamentali della vita. «Il mio scopo era chiaro: volevo che avessero la possibilità di dire la propria opinione avendo la sicurezza di basi solide», spiega Stella N’Djoku, che racconta di aver proposto ai suoi alunni dei primi esercizi di riflessione su temi come il cibo, il cinema, la musica... «Se non siamo capaci di giustificare perché la parmigiana è il nostro piatto preferito, come faremo a dire perché crediamo in Dio o perché no o anche solo a dare un nome alle cose che compongono la vita?».
«La forma conta»
Stella N’Djoku si definisce una persona curiosa e aperta, che ama viaggiare e conoscere altre culture. Le sue origini le hanno permesso di avere una visione più ampia e complessa del mondo e anche di appassionarsi alle lingue e ai loro suoni «così come anche alla ricerca dei sinonimi». Cercare nuove parole per riuscire a comprendere la complessità del mondo, allontanare «un linguaggio violento. A scuola cercavamo nuove parole al posto di parolacce e imprecazioni. Così nascevano modi curiosi e cambiava tutto: la rabbia era passata!».
Attraverso le parole
Anche con questa speranza di portare qualcosa di bello e di utile, di creare un dialogo universale attraverso le parole, Stella continua a scrivere per sé e per gli altri. «La poesia non è vero che è solo per pochi: è in grado di arrivare a tutti, rendendo il messaggio ancora più incisivo», dice Stella N’Djoku, che si augura che la sua poesia possa essere letta da chiunque, senza distinzioni di età, genere, cultura. Perché la forma e il modo in cui ci si esprime oggi è fondamentale, e la poesia «aiuta ad aprirsi alla vita».