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Alla corte dei Farnese

A Parma una mostra allestita in luoghi sommamente evocativi
Maria Cristina Minicelli
06.05.2022 06:16

La stirpe priva d’eroi tornati dalle crociate o d’antenati goti, un must nelle aristocrazie europee, estrometteva i Farnese dalla rosa delle principali famiglie regnanti del Cinquecento. Come le corti papale e sabauda, la famiglia Farnese assurse a dinastica italica solo per definizione, fregiandosi del corpo della Guardia Svizzera. In duecento anni si legittimarono come mecenati, come fastosi collezionisti in Roma e altrove, e a Parma, dove la stirpe arrivò a contare otto duchi, e dove viene celebrata nell’esaustiva mostra «I Farnese. Architettura. Arte. Potere» (fino al 31 luglio) con oltre 300 opere e 200 disegni a supporto delle grandi fabbriche architettoniche. Quella Parma, Capitale italiana della cultura 2021, che nel Complesso Monumentale della Pilotta, riaperto a restauro ultimato dopo cinque anni, esibisce lo sfarzo di ben tre teatri. «Il Grande» di Giovan Battista Aleotti in legno alternato a stucchi dipinti, dal modello ad alveare ripreso nel Teatro Sociale Bellinzona, in 100 anni ha ospitato solo sei rappresentazioni oltre a Mercurio e Marte di Claudio Achillini, musicata da Monteverdi, per le nozze di Odoardo con Margherita de’ Medici nel 1628. Mari, nuvole, mostri, divinità e naumachie sulla scena inondata stupivano i blasonati europei. La musica incantava: dalla polifonia di Margherita d’Austria, moglie di Ottavio, alla monodia accompagnata, fino ai «cantori a liuto», esecutori «all’improvvisa». E già con la Sublimis Deus di Paolo III venivano riconosciute umanità e libertà degli indigeni americani, aprendo a nuove tipologie di manufatti assenti nelle nelle collezioni delle famiglie nobiliari come i de ‘Medici, accanto ai vasi d’oro e d’argento «lavorati all’antica».