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La meccanica del desiderio

n orologeria, l’attesa gel possesso è essa stessa un mito di esclusività
Augusto Bassi
18.06.2022 06:00

Quello che state per leggere è un pezzo di difficile moderazione. Poiché tratta un tema che, pur essendo vissuto con sofferta familiarità dagli appassionati, per gli osservatori di passaggio può rivelarsi lunare, se non delirante: l’attesa senza fine per avere un orologio. Vediamo un caso esemplare. Gilberto non conosce bene il mondo dell’orologeria, ma ha visto su tante riviste, al polso di alcune celebrità, di un amico imprenditore e del suo idolo Roger Federer un cronografo Rolex in acciaio. Gilberto va sul sito di riferimento, si informa un po’ meglio e scopre che l’orologio si chiama Oyster Perpetual Cosmograph Daytona e nella configurazione che più gli piace costa 13.900 franchi. Gilberto è facoltoso, ha una zia ricca, e quindi può permetterselo. Così, con bel piglio da compera egotistica, si reca nella gioielleria della sua città dove sapeva esserci l’insegna Rolex. Entra, saluta con belle maniere e con una punta di alterigia si dice seriamente intenzionato ad acquistare sul momento un Rolex; il Cosmograph Daytona, per la precisione. Silenzio. Imbarazzo. Compassione. Il proprietario alza gli occhi, immantinente esausto. Un commesso ridacchia dandosi di gomito con la signora delle pulizie. L’entusiasmo di Gilberto viene raffreddato senza particolari spiegazioni, se non la perentoria nota sull’indisponibilità del prodotto. Alla domanda «Ma posso almeno ordinarlo?», riceve solo sbuffi, sberleffi e capisce di non essere gradito.

Ma Gilberto è uomo caparbio, mai domo, e decide di recarsi in uno spettacolare monomarca Rolex, che aveva ammirato mentre faceva il turista metropolitano durante il periodo natalizio; boutique dove certamente non mancheranno urbanità e orologio. In effetti il Daytona è in vetrina, accompagnato dalla sibillina scritta «Exibition Only». Varcata la soglia viene accolto con le dovute cerimonie e, rinfrancato, comunica il proprio desiderio di acquisto. Con ben altra civiltà viene ribadito lo stesso concetto: l’orologio non è disponibile. Gli viene tuttavia offerto un modulo da compilare con le proprie referenze, in modo e maniera da essere contattato nel caso si palesasse entro qualche anno il modello in questione. Al che Gilberto ha uno scatto d’orgoglio. Se quel modello specifico proprio non è in vendita, non importa. Va bene anche quell’altro con la ghierina rossa e blu che aveva visto sul polso di Luka Modrić. Niente. Indisponibile anch’esso. Anni di attesa, se si ha il coraggio di rischiare. E così per tutti gli orologi sportivi del marchio. Gilberto desiste, ringrazia e, amareggiato, se ne va. A pochi passi da lì, vede una boutique Omega e decide di cercare maggiori soddisfazioni. Uscirà con al polso uno Speedmaster ’57, di cui ignorava l’esistenza, ma che gli è subito piaciuto ed era addirittura in vendita. Oggi, a qualche anno di distanza, è diventato grande appassionato Omega, con legittime velleità da collezionista, avendo messo in saccoccia anche un Seamaster 300, due Aqua Terra 150, un Moonwatch Professional in Moonshine Gold, uno Speedmaster 321, un Silver Snoopy Award e due simpatici Omega x Swatch ricevuti in omaggio come cliente di riguardo. In questa breve fiction, che ci crediate o meno, c’è la vera storia di qualche aspirante cliente Rolex o di altri prodotti «hot».

Risulta infatti impossibile per un nuovo cliente assicurarsi determinate referenze a listino, anche pagandole sull’unghia. Se siete estranei al settore, forse troverete toccante sapere che ci sono mariti a tal punto innamorati della propria moglie da essere disposti a spendere decine di migliaia di euro in gioielli e orologi femminili, al solo fine di avere, senza sconti, l’orologio agognato per sé. Perché si verifica tutto questo? Le ragioni sono molteplici, ma alla base c’è il desiderio mimetico, magistralmente spiegato da René Girard. Noi esseri umani, nella stragrande maggioranza dei casi, non desideriamo un oggetto in sé, nella sua accezione «oggettiva» appunto, ma come strumento che ci permetterà di somigliare a chi invidiamo. Ovvero per imitazione del desiderio di un altro a cui vorremmo somigliare. Per cui l’orologio in sé rappresenta solo un pretesto, le cui qualità intrinseche non interessano davvero e che acquista valore solo perché desiderato e posseduto da altri. Questo spiega plasticamente come mai il mercato dell’aspirazione mondiale sia monopolizzato da 5-6 modelli (Rolex Daytona, Rolex Submariner, Rolex GMT Master, Patek Philippe Nautilus, Patek Philippe Aquanaut, Audemars Piguet Royal Oak), tutti simili fra loro – sportivi di lusso, preferibilmente in acciaio con bracciale – e posseduti da una categoria di persone percepite dai più come invidiabili. Al crescere della disponibilità economica, la meccanica del desiderio non cambia e con essa gli imbuti dell’attesa. I milionari aspetteranno mesi, anni, per un Richard Mille Tourbillon Pharrell Williams o un Bubba Watson che magari non hanno mai visto dal vivo e che desiderano perché desiderato da altri milionari come loro. I cultori del genio orologiero saranno disposti ad aspettare lustri per un Chronometre à Resonance di F.P. Journe, per entrare in risonanza con un ristretto club di conoscitori. Paradossalmente o forse intuitivamente, l’attesa non scoraggia il desiderio, al contrario: lo fomenta. Così i modelli desiderati lo sono sempre più, la loro disponibilità sempre più angusta e il prezzo di mercato sempre maggiore. L’obiezione più ragionevole, che anche uno studente al secondo anno di economia potrebbe fare, è: perché le Case non aumentano la produzione delle referenza più richieste? In effetti, per prodotti industriali come gli sportivi Rolex e Patek Philippe un deciso aumento della produzione sarebbe maneggevole per le Manifatture, farebbe contenti tanti clienti e limiterebbe le sgradevoli speculazioni che accompagnano la vita commerciale di questi modelli. Tuttavia, al di là delle dichiarazioni di prammatica, sembra chiara la volontà di cavalcare a briglia sciolta il mito dell’esclusività, sobillando sulle brame delle moltitudini per poi lasciarle insoddisfatte e così intensificarle, osservando con soddisfazione il feroce dispiegarsi del desiderio mimetico anche sul mercato del secondo polso, dove c’è gente disposta a pagare un oggetto due, cinque, dieci volte il prezzo di listino. Poiché in quella desiderabilità, in quella capacità di suscitare l’invidia che fa sopportare l’attesa e che convince alla spesa, risiede l’essenza più superficiale e insieme più profonda del lusso.

veste Tiffany

Se il Patek Philippe Nautilus 5711 è stato, fino alla sua ultima declinazione prodotta - quella con quadrante verde oliva - il Patek più desiderato di sempre, l’edizione firmata Tiffany & Co. è andata oltre. Realizzato in una serie limitata di 170 pezzi e caratterizzato da un quadrante blue Tiffany, ha creato un’aspettativa senza precedenti nella storia dell’orologeria, rivelandosi un’operazione di marketing tanto sfacciata, quanto vincente. L’unico esemplare destinato al pubblico è stato venduto da Phillips a 6.503.000 di dollari. Il prezzo di listino dell’ultimo Nautilus a catalogo, il 5711/1A del 2021, era di 30.856 CHF.

Chi ha tempo, aspetti tempo

Se per certi orologi l’attesa è determinata da scelte commerciali delle Case, per altri è inevitabile. Vi sono infatti realtà semi-artigianali, che producono pochi pezzi l’anno proprio al fine di garantire l’eccezionale qualità dei propri orologi. Se per F.P. Journe le prenotazioni sono addirittura bloccate su tutte le referenze meccaniche, anche H.Moser & Cie. ha problemi di eccesso di domanda sulla collezione Streamliner. Per il Centre Seconds non si accettano più ordini e viene ufficialmente catalogato come «unavailable», mentre per Cronografo Flyback e Calendario Perpetuo sono previsti circa 3-4 anni di attes